Torniamo tutti al tempo delle mele

STAVAMO meglio quando stavamo peggio. Mi capita d’incontrare spesso imprenditori di una certa età che avevano mosso i primi passi negli anni Sessanta. Allora eravamo senza dubbio più poveri di oggi, anche se non sapevamo cosa fosse lo spread, non c’era l’antipolitica e dovevamo convivere con la liretta. Eppure se chiedi a questi pionieri del […]

STAVAMO meglio quando stavamo peggio. Mi capita d’incontrare spesso imprenditori di una certa età che avevano mosso i primi passi negli anni Sessanta. Allora eravamo senza dubbio più poveri di oggi, anche se non sapevamo cosa fosse lo spread, non c’era l’antipolitica e dovevamo convivere con la liretta.

Eppure se chiedi a questi pionieri del “made In Italy” un confronto tra l’Italy di ieri e l’Italy di oggi ti diranno puntualmente che si sentivano più ricchi negli anni Cinquanta-Sessanta. Non solo perché erano più giovani, un particolare che certo non guasta, si accontentavano di poco e potevano contare su un grande entusiasmo come sempre succede quando si è agli inizi della carriera. Ma anche per una ragione semplice: ora non siamo più in grado di sognare e viviamo, anzi, in mezzo agli incubi e al cupo pessimismo.

Intendiamoci: abbiamo, tutti, valide ragioni per essere tristi o peggio ancora. Ci mettiamo davanti alla tv e siamo sommersi dalle cattive notizie, tra suicidi di quelli che non hanno più lavoro, rapine a gioiellieri e portavolori e politici sempre più lontani dai cittadini. Ma, per non affondare, dobbiamo, tutti, recuperare lo spirito del tempo delle mele. Altrimenti non avremo più futuro.