LA CHIESA SI FA UMILE e torna alle origini. La fumata bianca per Jorge Mario Bergoglio, la prima volta di un gesuita proveniente dalle Americhe, che diventa Papa e sceglie di chiamarsi Francesco, come il poverello d’Assisi, è il segno tangibile della volontà dei cardinali di voltare definitivamente pagina per dimenticare gli scandali, gli oscuri intrighi della Curia romana e la macchia, imperdonabile, della pedofilia nelle sacrestie di mezzo mondo. Questi sono i veri motivi, al di là dei problemi di salute, che hanno indotto Benedetto XVI a ritirarsi in convento. In questi giorni abbiamo letto diverse interpretazioni, tutte plausibili, sulla scelta del cardinale di Buenos Aires come vescovo di Roma, ma credo che un fattore, più di altri, sia stato determinante in un momento storico così critico: la necessità di tornare al Vangelo. Non è un caso che i preti sudamericani abbiano, da sempre, al loro interno, componenti evangeliche molto spiccate. Lo stesso cardinale Bergoglio, ora Papa Francesco, ha fatto della semplicità, dell’umiltà e della povertà le bandiere della propria missione.

E NON È una semplice coincidenza il fatto che il successore di Benedetto XVI sia un gesuita tenendo conto che gli appartenenti alla Compagnia di Gesù hanno l’obbligo di restare preti semplici senza assumere cariche di potere. Per Jorge Mario – un’altra prima volta nella storia millenaria della Chiesa – è stata fatta un’eccezione, così come un’eccezione era stata stabilita per un altro, grande, gesuita: Carlo Maria Martini. E fu proprio l’indimenticabile arcivescovo di Milano che, per primo, già nel 2005, indicò il cardinale italo-argentino come papabile e degno di prendere sulle proprie spalle il peso della barca di Pietro. In qualche modo, insomma, la diocesi ambrosiana è stata, comunque, un ago della bilancia del Conclave. Se, otto anni fa, il futuro Francesco venne bloccato, sulla via di Roma, da Joseph Ratzinger, oggi è, invece, emerso come soluzione di compromesso tra gli italiani sostenitori di Scola, stoppati dai curiali, e le eminenze statunitensi.

IN UN CERTO SENSO, dunque, la delusione dei cattolici lombardi per la mancata elezione di don Angelo, è mitigata dalla consapevolezza che l’amato predecessore di Tettamanzi a Milano, avesse già puntato sull’arcivescovo di Buenos Aires come futuro Papa al posto di Giovanni Paolo II. Oggi quel sogno è diventato realtà e per la Chiesa dell’America Latina è una grande vittoria anche perché dimostra la grande compattezza attorno al nuovo pastore. Nessuno ha, in effetti, notato che, mercoledì sera, accanto a Francesco sulla loggia di San Pietro, ci fosse il brasiliano Claudio Hummes, già arcivescovo di San Paolo e prefetto emerito della Congregazione per il clero. Un riconoscimento al ruolo che l’anziano cardinale ha avuto nella scelta del nuovo pontefice. Dicono le biografie, che Papa Jorge Mario ama il tango. Non poteva essere diversamente: con il successore di Ratzinger, il Vaticano ballerà davvero tutta un’altra musica. E forse l’allegria della speranza e della fede albergherà nei nostri cuori.

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