Sognare bianconero

DIECI  ANNI fa indossava la divisa della squadra di calcio del Perugia, ieri me lo sono immaginato con la casacca a righe bianche e nere (il destino: la Juventus era la sua squadra del cuore) di detenuto. IN QUESTE  due immagini è racchiusa la tragica parabola del quarantenne Saadi Gheddafi, terzogenito dell’ex rais libico, appena  […]

DIECI  ANNI fa indossava la divisa della squadra di calcio del Perugia, ieri me lo sono immaginato con la casacca a righe bianche e nere (il destino: la Juventus era la sua squadra del cuore) di detenuto.

IN QUESTE  due immagini è racchiusa la tragica parabola del quarantenne Saadi Gheddafi, terzogenito dell’ex rais libico, appena  estradato dal Niger al carcere di Tripoli che, per lui, non è davvero più il bel suol d’amore. L’avevo intervistato a Folgaria, durante il ritiro pre-campionato, di fronte all’occhio vigile di Serse Cosmi, il suo allenatore. Il giovanotto, un giorno, aveva detto al padre di voler diventare una specie di Maradona africano e di aspirare a giocare nel campionato italiano, il migliore del mondo. Emissari libici andarono, così,  da Gaucci e il desiderio venne esaudito anche se poi, in una vera partita ufficiale, calcò i campi solo per  cinque minuti proprio contro l’amata Juve. Insomma, il campione in erba restò tale, a dispetto della sua megalomania: talis pater, talis filius. Saadi assoldò anche, per migliorarsi, come personal trainer, alla modica cifra di un milione di euro al mese, il suo idolo: Diego Armando, naturalmente. Tutto per giocare uno scampolo di pochi minuti in una partita in serie A. Nella bella Perugia (ma poi approdò nell’Udinese) il rampollo libico occupava, con il proprio seguito,un’intera ala di un albergo a cinque stelle. Mi chiedo come adesso saprà adattarsi alle anguste misure della cella delle sue prigioni.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net