Con l’autunno, cadono le foglie e si torna, immancabilmente, a parlare di privatizzazione della Rai. Dunque, dopo Monti, ecco che il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, illustra la necessità di mettere all’asta due reti, per fare cassa, ipotizzando la creazione di una Fondazione, con un occhio alla Borsa. Un’idea, quella della “public company” che ieri ha rilanciato, sul QN, Bruno Vespa, con due osservazioni: 1) che sia messa sul mercato solo Rai 1, la gallina dalle uova d’oro; 2) che il 51% del capitale resti in mani pubbliche.

In una galassia dell’informazione dove di editori puri c’e solo la famiglia Riffeser Monti che edita il nostro giornale, non sarebbe giusto che la corazzata di Viale Mazzini finisse ostaggio di un gruppo industriale: anziché ai partiti, l’ente radiotelevisivo finirebbe per rispondere agli interessi privati dell’azionista di maggioranza. Non vedo, però, tante alternative. Mettiamo il caso, infatti, che si riservasse allo Stato, la quota più alta, perché mai un imprenditore dovrebbe buttare dei soldi, soprattutto in un periodo di crisi come l’attuale, in un’azienda i cui fili sono controllati dalla politica?

Come ex commissario della Vigilanza Rai, ho una certa conoscenza dei meccanismi all’interno del gruppo pubblico e i partiti non rinuncerebbero mai a nominare il consiglio d’amministrazione secondo il vecchio manuale Cencelli. L’alternativa, a questo punto, potrebbe essere una “public company” al cento per cento che lasci davvero ai privati il controllo di Rai 1. Anche in questo caso, comunque, qualche dubbio rimane. Ricordo, infatti, perché nell’avventura c’ero anch’io,  quando Indro Montanelli fondò la “Voce” e, sostenendo che il suo unico padrone doveva essere il lettore, approvò con entusiasmo il progetto di creare una società ad azionariato diffuso.

Solo che non avevamo più un solo editore, ma tanti piccoli padroni che pretendevano di avere voce in capitale come se ciascuno possedesse l’intera società editoriale. Morale della favola, dopo un anno il quotidiano venne chiuso e, noi, giornalisti, finimmo tutti disoccupati. Alla fine la paura è che, anche stavolta, per la Rai non si faccia, poi, nulla. Un esempio? Qualche anno fa proposi, vanamente,  di combattere l’evasione del canone annuale inserendo il pagamento nelle bollette dell’elettricità. Risultato? Il 26% degli utenti Rai non paga e, a rimetterci, sono i soliti noti.