NELLA NOTTE dell’Italia gli imprenditori vedono l’alba. Il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, nell’intervista rilasciata al QN-Il Giorno, lancia un messaggio
di speranza: «L’ottimismo non ci manca neanche oggi».

Il “made in Italy” non abdica, ma solo ad una condizione: che il nuovo governo, qualunque esso sia, possa essere in grado di dare risposte concrete alle richieste, sempre più pressanti, del mondo industriale. Certo, le premesse, considerando l’andamento della campagna elettorale, non sono tra le migliori: tante proposte-choc, tanti slogan, ma, ancora, non c’è neppure uno straccio di programma di lungo periodo nelle indicazioni fornite dai partiti. Se sulla riduzione delle imposte, a cominciare dall’Irap, sembrano tutti d’accordo, ci sono anche altre, grandi, priorità che i candidati-premier stanno trascurando.

Squinzi elenca, tra questi punti-cardine, i due più importanti: l’elevato costo del lavoro e l’eccessivo peso della burocrazia. È sufficiente, al riguardo, un dato: per pagare le tasse in Italia, sono necessarie 269 ore all’anno, contro le 207 della Germania e le 175 degli Stati Uniti: dopo il danno, la beffa. È una vera corsa ad handicap, quella che attende il nostro imprenditore: un percorso ad ostacoli che rischia di trasformare la penisola in un Paese deindustrializzato. Viale Astronomia fornisce un dato significativo: negli ultimi cinque anni, la nostra produzione è calata di un quarto, toccando nella media del 2012, i livelli di oltre 20 anni fa. Siamo, insomma, alle prese con una crisi strutturale che colpisce, in particolare, le piccole e medie imprese (un tempo fiore all’occhiello della nostra industria), e non risparmia neppure le regioni più ricche.

Solo in Lombardia – che rappresenta, comunque, più di un quinto del Pil italiano – la produzione è scesa, nell’ultimo trimestre del 2012, di quasi il 15% rispetto ai picchi toccati prima della recessione, e cioè, nell’ultima parte del 2007. Ma, nonostante un quadro così drammatico, il patron della Mapei scorge il rosa dopo l’estate, con un’inversione di tendenza, sia pure molto modesta. Squinzi vede molte correlazioni tra l’aumento dello spread sul fronte del debito e la crescita della disoccupazione. Un rapporto incestuoso che può essere interrotto, solo se il prossimo governo ritornerà a puntare tutto, dagli incentivi per le assunzioni dei giovani agli aiuti all’export, sull’impresa. I prossimi mesi saranno davvero decisivi per capire dove andremo: qui si fa l’Italia, o si muore.
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