Quando l’Italia è cosa nostra

IN QUESTI GIORNI, non vorrei essere nei panni di Napolitano: tutti lo vogliono, tutti lo cercano, tutti lo tirano per la giacchetta. Credo che il Capo dello Stato stia, in cuor suo, invidiando l’amico Joseph, il Papa emerito Ratzinger: Benedetto, eufemisticamente parlando, ha mandato tutti a quel paese e si è ritirato nella pace di […]

IN QUESTI GIORNI, non vorrei essere nei panni di Napolitano: tutti lo vogliono, tutti lo cercano, tutti lo tirano per la giacchetta. Credo che il Capo dello Stato stia, in cuor suo, invidiando l’amico Joseph, il Papa emerito Ratzinger: Benedetto, eufemisticamente parlando, ha mandato tutti a quel paese e si è ritirato nella pace di Castel Gandolfo. Anche Re Giorgio, vorrebbe, forse, farsi ricordare solo per i primi sei anni presidenziali e non per l’ultimo, travagliatissimo periodo, magari gli piacerebbe tornare, in tutta tranquillità, nella sua Napoli, ma non ci riesce. Chi, giustamente, gli chiede, come il direttore del “Corriere della Sera”, di concedere un bis, magari ridotto, chi gli intima di indicare il nuovo premier prima di abbandonare il Quirinale, chi vorrebbe, addirittura, che si sacrificasse diventando lui il presidente di un governissimo istituzionale su designazione del suo successore al Colle (tra i papabili Amato e Cancellieri).

QUANDO la situazione è molto incerta, i confini tra politica e fanta-politica diventano sempre più labili e qualsiasi strada, anche la più impervia, trova proseliti. Personalmente, non mi scandalizzo affatto della ridda di voci e di soluzioni prospettate. Anzi, considerando l’emergenza italiana, è giusto e corretto esplorare ogni ipotesi in grado di farci uscire dalla palude. L’importante è, ovviamente, accelerare i tempi.

ECCO PERCHÉ, nel caso, molto probabile che l’incarico di formare un nuovo governo, affidato a Bersani, dovesse fallire, Napolitano potrebbe avere un’ottima carta di riserva: il nuovo presidente del Senato, Piero Grasso. Già in passato, in situazioni politiche molto difficili, Napolitano aveva affidato un mandato esplorativo alla seconda carica dello Stato. Capitò all’inizio del 2008 quando, dopo la caduta di Prodi, il Quirinale chiese aiuto a Franco Marini, allora alla guida di Palazzo Madama. Cinque anni fa il tentativo non ebbe successo, ma, ora, potrebbe andare meglio all’ex procuratore nazionale antimafia. La ragione è semplice: sul nome del collega di Falcone e Borsellino dovrebbero esserci consensi, sia pur tiepidi, al di là della sinistra. Lo vedrebbero, infatti, di buon occhio o, comunque, non di sbieco, molti pidiellini – considerando che, a metterlo alla testa della lotta a “Cosa nostra”, è stato proprio il governo di centrodestra – e anche i montiani che, sabato scorso, hanno già votato scheda bianca. Ci potrebbe essere, poi (è già successo al Senato…), qualche franco tiratore nel Movimento 5 stelle, nonostante i “diktat” di Grillo.

Grasso sarebbe, così, chiamato a reggere un governo istituzionale in grado di varare le misure economiche più urgenti, per tentare di agganciare la ripresa internazionale prevista per la seconda metà dell’anno, e quella riforma elettorale che ci dovrebbe consentire di tornare al voto, in tempi relativamente brevi, magari nel 2014 in contemporanea con le Europee. Grasso, stratega della guerra alla mafia, sa che non si può affatto scherzare quando c’è di mezzo il futuro del Paese. E certamente l’Italia è cosa nostra, di tutti noi.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net