CHI, IN QUESTI GIORNI, ha visto Berlusconi, lo descrive molto più malleabile di prima sulla possibilità di non andare subito al voto. Confidandosi con i suoi compagni di partito, il Cavaliere si è dichiarato ancora disposto a varare un governo di scopo della durata di un anno, d’intesa con Pd e montiani, in grado di traghettare l’Italia fino alla primavera del 2014, cioè fino alle Europee. Un esecutivo che porti a casa, saggi o non saggi, le riforme sul tappeto, a cominciare dalla legge elettorale. In cambio, il Cavaliere chiede a Bersani di scegliere assieme il candidato per il Quirinale: un nome, tanto per intenderci, come Amato, Severino o Cancellieri. Il Pdl si rende, insomma, conto – anche se il sindaco di Firenze è, oggi, il meglio del bigoncio – che, paradossalmente, la scalata di Renzi, gradita al centrodestra, potrebbe rivelarsi un “boomerang” non solo per il segretario del Pd. Ecco perché l’intesa con i “duri e puri” trova sempre più proseliti. Del resto, anche nel Pd, a parte Renzi, aumenta il numero di coloro che sono favorevoli al dialogo con il Pdl: persino l’ex segretario Dario Franceschini ha preso posizione in tal senso.

QUESTA situazione, come ha sottolineato ieri il Qn, ricorda molto il quadro incerto del 1992 quando sul nome di Mariotto Segni, promotore di tanti referendum, si concentrò l’attenzione degli italiani, a destra come a sinistra, che finirono, però, per “bruciare” il figlio del compianto Presidente della Repubblica.

È QUESTA LA SINDROME che sta cominciando a essere un incubo per il Rottamatore. Più di venti anni fa, infatti, il personaggio che avrebbe dovuto rappresentare il simbolo della svolta – come adesso lo è Renzi -, cadde inopinatamente nella polvere. Proprio Segni, al di là delle diverse versioni fornite sulla vicenda, è stato il vero motivo del divorzio tra Silvio, allora editore del “Giornale”, e il suo direttore Indro Montanelli. Cilindro, spalleggiato dal condirettore Federico Orlando, era stato, infatti, prontissimo ad avviare una campagna stampa di sostegno, come premier, dell’uomo politico sardo, ma Berlusconi non aveva condiviso tale scelta. Era, anzi, apparso così contrario all’ipotesi-Segni che, vedendo praterie inesplorate davanti a sè, decise di scendere in campo lui stesso contro il parere di Montanelli, molto pessimista sul successo del Cavaliere nella nuova vita. E il Grande Vecchio sbatté, allora, la porta e fondò “La Voce” perché, scrisse, non poteva accettare di avere un editore che fosse anche leader politico. Senza arrivare a quelle conseguenze, è un po’ quello che sta succedendo, in questi giorni, attorno all’”Unità”, con i renziani che accusano il direttore, Claudio Sardo, per un titolo (“No di Renzi al governo Bersani”) considerato da loro falso.  Insomma, non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Aveva proprio ragione Giambattista Vico: anche oggi i corsi e ricorsi storici continuano a ripetersi. Sia in politica che nell’editoria.

[email protected]