PERSINO Al Capone, il famoso boss italo-americano di Chicago, può diventare un esempio di coesistenza in tempi di ondate migratorie. Lo sottolinea l’”International New York Times” che, qualche giorno fa, ha dedicato un’ampia inchiesta al problema degli immigrati siriani negli Stati Uniti. Nell’articolo, il prestigioso giornale è particolarmente critico nei confronti dei repubblicani che hanno tentato di boicottare il piano varato dal presidente Obama per dare asilo, quest’anno, a diecimila rifugiati siriani. Nulla di nuovo sotto il sole degli States considerando che, dal 2012 ad oggi, Washington ha dato asilo ad appena 2.500 migranti provenienti da Damasco e dintorni, poco più dell’uno per cento dei siriani che sono stati costretti ad abbandonare la loro terra riversandosi, soprattutto, nei territori limitrofi del Medio Oriente. L’inchiesta coinvolge il candidato Donald Trump che vuole mettere la saracinesca alle frontiere americane. Se consideriamo che nel 2015 la sola Germania ha dato rifugio ad oltre un milione di profughi, di cui il 40 per cento proveniva dalla Siria, e che la “piccola” Svezia ha accolto quasi 200mila migranti, è evidente – rileva l’edizione internazionale del “New York Times” – che anche gli Stati Uniti devono essere maggiormente ospitali. Tanto più che i precedenti danno ragione alle frontiere aperte americane. Come esempio, il quotidiano cita proprio gli emigranti italiani che varcarono l’Oceano Atlantico tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. In dettaglio, tra il 1880 e il 1924, sbarcarono 4 milioni di nostri connazionali. Molti gli italo-americani di fama: da Enrico Fermi a Frank Sinatra, da Joe Di Maggio al giudice della Corte Suprema Antonin Scalia, senza neppure trascurare il meno commendevole Al Capone. Insomma, i siriani potrebbero oggi fare il bis cent’anni dopo i nostri antenati, come rileva lo stesso giornale con l’interrogativo finale: chi se la sentirebbe di dire che l’immigrazione italiana non fu una benedizione per l’America? [email protected]