EPPUR SI MUOVE. Dopo tanti proclami e rinvii, il governo Letta ha finalmente dato il “via libera” alle privatizzazioni: secondo quanto dichiarato dal premier Letta, entro l’anno dovrebbero essere messe sul mercato quote di minoranza di Finmeccanica e Terna. Le dismissioni pubbliche sono, da tanto tempo, il cavallo di battaglia di molti economisti. Infatti, la strada appare obbligata. Mario Monti – che, tra l’altro, viste le amarezze che la politica gli ha procurato, è ridisceso nella vita accademica come presidente dell’Università Bocconi – cercò di battere altre strade per ridurre la spesa pubblica, che, anzi, è cresciuta. Non ci riuscì e ora siamo al punto di partenza: raschiato il fondo del barile, tanto che l’esecutivo non è riuscito neppure a rastrellare un miliardo di euro per evitare l’aumento dell’Iva, nel nostro futuro ci sono, dunque, solo vendite di Stato.

ATTENZIONE, però, alle modalità delle cessioni. Proprio nelle ultime settimane, stiamo, infatti, registrando le conseguenze-boomerang della grande stagione delle privatizzazioni avviata, all’inizio degli anni Novanta, da Giuliano Amato. Nonostante le sottigliezze di quel Presidente del Consiglio (e non è un caso che sia, tuttora, un protagonista del Palazzo), quelle dismissioni non andarono, tutte, a buon fine. Sembrava che la collocazione sul mercato di quote pubbliche fosse la panacea di tutti i mali e ci fu grandissima enfasi attorno alle cosiddette alienazioni: addirittura i cervelli delle più importanti “merchant bank” vennero invitati ad una crociera sul panfilo reale “Britannia” per discutere sulle modalità del collocamento delle azioni. Tutti erano entusiasti perché sembrava che l’Italia fosse in grado di voltare definitivamente pagina, imboccando la via della modernizzazione. Purtroppo non è stato così e, proprio oggi, vediamo i frutti avvelenati di alcune operazioni non troppo fortunate: il caso Telecom, che sta finendo in mani iberiche, è l’esempio più clamoroso. Anche altre cessioni ai privati, come l’Alitalia, più di vent’anni dopo il governo Amato, hanno dato risultati molto deludenti.

E ALLORA? Prima di tutto è stato sfatato un mito: non sempre il capitale privato rende meglio di quello pubblico. In secondo luogo, alla luce di queste esperienze, non è sufficiente fare solo cassa: bisogna anche preservare la strategicità di certe aziende, come Finmeccanica, che rappresentano pezzi importanti del “made in Italy”. Considerando che, con la crisi che si continua a respirare, il numero degli imprenditori disposti a rischiare si è assottigliato moltissimo, è  giusto che Letta & C. abbiano deciso di mantenere il controllo pubblico delle aziende in vendita. E, magari, quotare in Borsa aziende come Anas, Ferrovie e Poste (e l’Alitalia?). Facendo tesoro degli errori del passato, meglio procedere con gradualità: Enrique, adelante con juicio.

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