OGGI è un Primo Maggio più Primo Maggio che mai. L’emergenza lavoro in Italia ha segnato livelli record: i giovani in cerca di prima occupazione, tra i 15 e i 24 anni, hanno raggiunto, in marzo, il 38,4 per cento del totale. Una percentuale destinata, purtroppo, a lievitare in mancanza di una terapia d’urto che il governo Monti non ha, colpevolmente, adottato. Nel suo discorso d’insediamento, il premier Enrico Letta ha subito insistito sul tema della disoccupazione accogliendo la richiesta che il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, porta avanti dall’estate scorsa: prevedere meno imposte per le imprese che assumono. “Una priorità assoluta”, l’ha definita.
Il problema è: come riuscire a rastrellare i quattrini necessari per rilanciare il lavoro? Su questo punto, Letta è stato piuttosto ermetico, e non poteva essere diversamente. Ha già annunciato la volontà di sospendere (ma ieri ha raffreddato gli entusiasmi), in giugno, l’Imu sulla prima casa e di congelare il previsto aumento di un punto dell’Iva, più altri ritocchi fiscali: complessivamente, una dozzina di miliardi di entrate in meno.

IL NEO PREMIER ha così già raschiato il fondo del barile: non vorrei che, a questo punto, a dispetto delle  buone intenzioni, si trovasse subito con le spalle al muro. Al di là delle competenze specifiche di certi ministri assurti in ruoli molto delicati, mi sembra, infatti, che la strada del presidente del Consiglio  – tra un compromesso e l’altro per accontentare le componenti politiche della sua coalizione – sia  in salita, più di quanto si potesse inizialmente prevedere. Due, in particolare, i punti del debutto che non mi hanno entusiasmato: 1) l’ennesima promessa della lotta senza paura all’evasione fiscale che tutti continuano a ripeterci da anni senza alcun risultato concreto; 2) l’immediato giro delle sette chiese in Europa. Pur non facendo parte della schiera degli euroscettici, mi sembra che il premier abbia superato i suoi predecessori, Monti compreso, perché già ieri sera – con il pacchetto delle nomine dei sottosegretari ancora da definire – era alla corte berlinese di Frau Merkel. Anche se ha chiesto meno rigore, credo che le visite di cortesia abbiano un senso solo se c’e rispetto e attenzione reciproca: non mi sembra davvero la musica di questi mesi.  Bisognerebbe che Letta prendesse esempio da Nino Andreatta da lui stesso definito “maestro” nel discorso di insediamento di lunedì: il professore trentino, bolognese d’adozione, quando era ministro del Tesoro, guardava, infatti, con attenzione all’Europa, ma senza farsi calpestare dai partner comunitari. Ricordo un Ferragosto di tanti anni fa: ero andato a intervistarlo a Madonna di Campiglio perché sembrava imminente una svalutazione della  lira all’interno del Sistema monetario europeo. Andreatta mi aveva rassicurato, dandomi appuntamento al giorno dopo. Non avevo fatto i conti, però, con il figlio burlone del professore che, al citofono, mi disse che il padre era dovuto correre, in fretta e furia, a Bruxelles per una riunione d’emergenza del gruppo valutario. Potete immaginare la concitazione mia e del giornale per quella notizia: per fortuna, poco dopo, mi chiamò lo stesso ministro scusandosi per lo scherzo al giornalista amico: era semplicemente andato a funghi e Bruxelles poteva aspettare. Allora si poteva ancora scherzare. E, soprattutto, non prendere i “diktat” europei come oro colato.

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