QUELL’ANNO, quel ‘29, faceva paura a tutti: quei, famigerati, numeri non si dovevano neppure pronunciare perché, scaramanticamente parlando, erano peggio del 13 o del 17, giorni tabù per tutti i superstiziosi. La Grande Depressione è un incubo mai superato ed è, quindi, sempre stato meglio evitare qualsiasi collegamento nefasto. Da qualche tempo, lo spettro di quel confronto jellato aleggiava, però, sulle nostre teste, anche se nessuno aveva ancora avuto il coraggio di paragonare l’attuale crisi economica con quella di oltre ottanta anni fa. Sembrava azzardato e pericoloso mettere in collegamento le due gravissime emergenze economiche, anche se entrambe sono, anzitutto, il segnale del crollo di un sistema: il mondo cambia inesorabilmente, senza che nessuno riesca a prevedere che strada prenderà.  Venerdì, parlando ai giovani di Confindustria riuniti a Santa Margherita, il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, ha, finalmente, varcato il Rubicone affermando che l’attuale crisi sembra addirittura peggiore di quella dei nostri nonni.

È UNA TRISTE VERITÀ che, in fondo, avevamo già capito tutti, ma nessuno voleva fare il primo passo verso il riconoscimento di uno stato conclamato. Insomma, l’ex direttore generale della Banca d’Italia ha avuto il coraggio, da tecnico e non da politico, di aprirci finalmente gli occhi, ma il problema è un altro: la confessione è venuta proprio davanti a quegli imprenditori che, da almeno un anno, chiedono interventi urgenti del governo per cercare di tamponare una situazione sempre più drammatica tra disoccupazione dilagante, soprattutto giovanile, crollo degli ordini e aziende che chiudono. Saccomanni, con la sua onestà di fondo, ha riconosciuto di essere con le spalle al muro, perché nessuno, al governo, sa bene quale sia la cura adatta per far diminuire la febbre: si va avanti, così alla cieca, per tentativi, senza una strategia complessiva in grado di invertire il trend. Se, fino a qualche tempo fa, gli istituti econometrici prevedevano un’inversione di tendenza, con un avvio di ripresa, dal secondo semestre del 2013, cioè dal prossimo mese di luglio, oggi tutti tacciono e nessuno si pronuncia, fino alla “sparata” dell’altro giorno di Saccomanni con il richiamo al ‘29, l’annus horribilis.

ADESSO NON SI PARLA più di fine a breve termine della recessione, ma, quel che è peggio, l’esecutivo Letta continua a non mettere in cantiere le misure di risanamento, in grado di stimolare la crescita economica, tante volte ipotizzate e puntualmente rimandate. Caro Saccomanni, non è più sufficiente riconoscere ufficialmente che siamo tornati ai tempi del crac del secolo scorso, se non peggio: è necessario reagire. Se, all’indomani del 1929, vennero prese, anche in Italia, decisioni coraggiose per superare l’emergenza (è il caso del varo, negli anni Trenta, dell’Iri che consentì la statalizzazione di molte imprese sull’orlo del fallimento), oggi non sappiamo che pesci pigliare. La sola notizia positiva è il possibile slittamento dell’aumento dell’Iva, già previsto dal 1° luglio. Un rinvio che, in qualche modo, dovrebbe servire a non raffreddare ancor più i consumi, già congelati da mesi, nonostante l’estate che avanza. È un primo, timido, passo, ma non basta.
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