C’È UNA DEFINIZIONE di Giuseppe Prezzolini che interpreta perfettamente la considerazione che hanno sempre avuto i politici, persino in tempi non sospetti. Il “maledetto toscano” scriveva nel 1917, quasi cento anni fa: «L’italiano è un popolo che si fa guidare da imbecilli, i quali hanno la fama di essere machiavellici». E, in effetti, mai come in questa campagna elettorale, moltissimi cittadini si sono posti seri interrogativi sull’effettiva consistenza di tanti candidati (anche di primo piano) in lizza: non bastavano i protagonisti, sempre in sella, d’”ancien régime” anche coloro che, almeno sulla carta, rappresentavano il cosiddetto “nuovo”, come Oscar Giannino, hanno profondamente deluso. Non è un caso, al contrario di quanto sostenevano alcuni “guru” del voto, che il “fenomeno Grillo” non sia affatto sbiadito con l’avvicinarsi del 24-25 febbraio, ma anzi abbia preso vigore, giorno dopo giorno, riempiendo di sostenitori, nell’ultima settimana, le piazze di Milano e di Roma.

È PROBABILE che, dopo un mese di battaglie verbali, spesso a livello infimo, le urne non riescano a esprimere una maggioranza compatta e coesa, tanto che diversi politologi (ma quando mai azzeccano nelle previsioni?) parlano di una legislatura breve. È certo, comunque, che il Parlamento risulterà profondamente rinnovato e, qualunque sarà la coalizione vincente, dovrà porre subito mano a quelle riforme che, colpevolmente, non sono state fatte negli ultimi cinque anni. Quattro saranno le priorità da affrontare: 1) la definitiva liquidazione dell’attuale legge elettorale che è eufemistico definire “Porcellum”; 2) la possibilità di rendere più efficiente il potere esecutivo, dando più poteri al premier, a cominciare dalla sostituzione dei ministri incapaci; 3) l’immediato dimezzamento del numero dei parlamentari e una riduzione ancora più drastica delle indennità (dovrà succedere anche a livello regionale); 4) la cancellazione del bicameralismo perfetto che, così come è oggi, finisce per insabbiare o ritardare il varo di tante leggi importanti.

MA QUESTE RIFORME non saranno, da sole sufficienti a far innestare la marcia in più al Paese. È, infatti, necessario che il nuovo governo, adotti subito quei provvedimenti troppo a lungo rimandati perché, altrimenti, perderemo il treno della ripresa che, secondo la Bce, dovrebbe partire nella seconda metà dell’anno. Il “made in Italy” è stato fin troppo schiacciato da dazi e gabelle varie, quel fardello che ha finito per annullare la competitività dei prodotti. Se, un tempo, riuscivamo a stare a galla grazie alla creatività e all’intraprendenza dei nostri capitani coraggiosi, oggi il “geniaccio” italico non basta più: la produzione langue, le esportazioni crollano e i nostri giovani sono costretti ad andare all’estero per cercare un lavoro decente. Se la politica non ricomincerà da zero, con l’abc dell’economia, l’Italia, professori o non professori, sarà costretta a capitolare su tutti i fronti. Il discorso vale anche per le regioni più progredite: Lombardia in primis. Ecco perché la sfida per la successione di Formigoni al “Pirellone” assume un’importanza pari alla competizione nazionale. Una battaglia nella battaglia: che Dio ce la mandi buona.

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