Ora il Papa all’Expo

IL VIAGGIO di Papa Francesco negli Stati Uniti potrebbe essere riassunto in poche parole. Sono quelle pronunciate, al Palazzo di Vetro, dal segretario generale dell’Onu: «Santità, grazie di fare la storia», ha dichiarato Ban Ki Moon, che, in questi giorni, è stato direttamente chiamato in causa dal leader russo Putin, con la mediazione telefonica di […]

IL VIAGGIO di Papa Francesco negli Stati Uniti potrebbe essere riassunto in poche parole. Sono quelle pronunciate, al Palazzo di Vetro, dal segretario generale dell’Onu: «Santità, grazie di fare la storia», ha dichiarato Ban Ki Moon, che, in questi giorni, è stato direttamente chiamato in causa dal leader russo Putin, con la mediazione telefonica di Silvio Berlusconi, per cercare di accelerare un intervento delle grandi potenze (Cina compresa) in Siria. Un discorso, quello del Papa, che riecheggia le parole da lui pronunciate in occasione dell’apertura dell’Expo di Milano: «la cura della casa comune», ovvero la necessità di legare la difesa dell’ambiente alla lotta alla povertà. C’è tutto un filo comune, che va proprio dalla sostenibilità ambientale all’emergenza migratoria, nel discorso tenuto, anche il giorno prima, al Congresso americano per una ragione molto semplice: la mancata cura del Creato finisce per alimentare quegli squilibri economici e sociali che obbligano intere popolazioni ad abbandonare le terre d’origine. Non è un caso che Papa Francesco sia il primo pontefice che proviene da una megalopoli, quella di Buenos Aires, con 15 milioni d’abitanti.

PROPRIO sui temi ambientali l’uomo in bianco è, quindi, particolarmente sensibile e nell’enciclica “Laudato sì” parla proprio della mancanza di eco-sostenibilità delle grandi aree urbane, a cominciare dalle periferie. Casa, lavoro, terra, alimentazione: sono gli stessi temi della kermesse milanese, ma all’Expo non sono certo stati affrontati con la stessa profondità emersa ieri l’altro a New York. Nessuno di noi, solo pochi anni fa, avrebbe potuto immaginare che simili problemi potessero riesplodere con tanto fragore nel ventunesimo secolo. Chi avrebbe potuto mai immaginare che in Europa avremmo assistito a esodi biblici come quelli verificatisi, in queste settimane, nel Mediterraneo e nei Paesi balcanici? Noi, figli di una società consumistica senza frontiere, siamo stati colti alla sprovvista e abbiamo guardato le immagini apocalittiche di questo incredibile 2015 con un senso di incredulità, di sbigottimento, ma anche di fastidio. Non eravamo preparati al peggio e, ora, Papa Francesco ci ha richiamato alla realtà: non è un caso che il vicario di Cristo abbia lanciato il suo monito nel cuore – gli Stati Uniti – di quella società dell’opulenza che sta mostrando i suoi limiti e le sue grandi debolezze.

STANNO CROLLANDO tutti i miti – e, sia pure con scenari diversi, anche il “caso Volkswagen” rientra in quest’ottica – della società del benessere. Proprio quei miti con cui siamo cresciuti dai tempi del primo “boom” economico. Il grido di dolore del Papa è stato opportuno e, in un certo senso, provvidenziale perché ci mette di fronte a grandissime responsabilità. Ma è stato anche legittimato dal fatto che sia andato in onda davanti all’assemblea dell’Onu, l’organizzazione internazionale che, in 70 anni di vita, ha tentato di arginare i conflitti in ogni angolo del mondo cercando di trovare soluzioni comuni. Le parole di Francesco non debbono adesso cadere nel vuoto e mi auguro, a questo punto, che il Papa ci ripensi e che venga a Milano a riproporre gli stessi temi, con ancora più vigore, all’Expo. Che faccia, insomma, il miracolo prima del 31 ottobre, la fine di un altro palcoscenico mondiale. giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net