NELLE PROSSIME settimane (e mi scuso per l’autocitazione) uscirà il libro “Il compagno Mussolini” del giornalista inglese Nicholas Farrell e del sottoscritto che, in contemporanea con una mostra che si è appena inaugurata a Predappio, parla del Benito socialista e insiste molto sulla sua avversione nei confronti dei tedeschi prima del successivo voltafaccia e dell’abbraccio fatale con Hitler degli anni Trenta.

AL DI LÀ DEGLI ARTICOLI al vetriolo del futuro Duce scritti contro le potenze centrali, delle confessioni al biografo Emil Ludwig e della storia d’amore con Margherita Sarfatti, d’origini ebraiche, vorrei ricordare un piccolo episodio, penso inedito, che conferma la tesi esposta nel saggio e che, tanto tempo fa, Indro Montanelli raccontò ai suoi collaboratori davanti ad un piatto di pappa con il pomodoro.
Dunque, siamo all’inizio degli anni Trenta e l’allora giovane di Fucecchio dirige un giornaletto universitario a Firenze. In uno dei primi numeri del periodico, Indro pubblica un articolo di un suo compagno di studi, ebreo. Le leggi razziali sono di là da venire, ma già si respira una certa aria in Europa e l’amico di Cilindro prende carta e penna per contestare questo clima anti-sionistico che comincia ad avvertirsi anche in Italia. Montanelli non ci pensa due volte e pubblica lo scritto sul suo giornale. Passa qualche settimana e il toscanaccio viene chiamato direttamente a Palazzo Venezia per un’udienza privata nella Sala del Mappamondo. Potete immaginare la sua sorpresa, e anche un certo timore per tale convocazione: cosa vorrà mai Benito da lui? Montanelli viene fatto entrare al cospetto del Duce: è molto preoccupato, ma le sue paure vengono subito dissipate perché Mussolini comincia a sperticarsi in grandi lodi del giornaletto. Ha letto, dice, l’articolo del giovane ebreo e ha apprezzato molto. Finalmente, aggiunge, uno che le canta giuste. E spiega: “il razzismo è roba da ariani!”. Ma, qualche anno dopo, nel 1938, anche l’Italia promulgherà le leggi razziali. Morale della favola: mai fidarsi dei politici, sempre pronti a sostenere una tesi e fare, poi, l’esatto contrario. Succedeva durante la dittatura fascista, capita, purtroppo, anche adesso.
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