Mezzogiorno di fuoco

LA PRIMA volta che entrai alla Camera, ebbi un anfitrione di lusso, l’allora presidente Gianfranco Fini, che mi svelò tutti i segreti di Montecitorio: il Transatlantico, l’aula sorda e grigia, la  saletta del governo, il corridoio dei presidenti, la buvette, l’ufficio postale, la sala lettura, la barberia e persino la toilette. NON NASCONDO che provai un’emozione […]

LA PRIMA volta che entrai alla Camera, ebbi un anfitrione di lusso, l’allora presidente Gianfranco Fini, che mi svelò tutti i segreti di Montecitorio: il Transatlantico, l’aula sorda e grigia, la  saletta del governo, il corridoio dei presidenti, la buvette, l’ufficio postale, la sala lettura, la barberia e persino la toilette.

NON NASCONDO che provai un’emozione fortissima: mi trovavo nel tempio della politica italiana, accompagnato dalla terza carica dello Stato e non è di tutti i giorni essere nel sancta sanctorum della storia d’Italia.  Sono trascorsi cinque anni e mezzo da quel giorno e mi ritrovo a leggere i resoconti da film western dei quotidiani all’indomani della battaglia campale di Montecitorio inscenata dai grillini. Deputati con la faccia bendata che menano, deputati  sdraiati a terra al centro dell’aula, deputati che insultano, deputati che schiaffeggiano, commessi che tentano di dividere gli energumeni, bestemmie ed epiteti a volontà. Mi sono sentito fortunato a non essere più al centro dell’indegna gazzarra che squalifica i parlamentari agli occhi degli italiani e del mondo intero. Poi ho riletto, con amarezza, una citazione di Platone: «La democrazia quando, per l’inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi, allora la gente si separa da coloro cui fa colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi  con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice. Così la democrazia muore: per abuso di se stessa. E prima che nel sangue, nel ridicolo».

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net