STORIE DI GRU in tempi di Depressione. Proprio ieri mattina ho letto sulla “Stampa” la notizia che è stata ricostruita l’identità di quattro degli undici operai appollaiati su una trave d’acciaio sospesa nel vuoto a 260 metri dal suolo. Una vecchia foto in bianco e nero, di oltre 80 anni fa, scattata nel cantiere del Rockefeller Center di New York. Una foto che ha fatto il giro del mondo ed è diventata un simbolo come l’immagine, a Times Square, del marinaio che bacia la ragazza nel giorno della fine della Seconda guerra mondiale. A parte il problema delle vertigini, quel “flash” aveva un significato storico: voleva dare un’immagine d’ottimismo della corazzata americana dopo il venerdì nero del ’29. Gli Stati Uniti, era il messaggio piuttosto esplicito, sono stati capaci di rialzare la testa (e grattacieli), nel giro di tre anni, e di guardare con fiducia al domani.
Pensando a quello scatto d’autore, torno al giornale e trovo sul tavolo un’altra foto: è quella di una gru di Cologno Monzese presa d’assalto, ieri mattina, da un ingegnere, titolare di una ditta di costruzioni, e dai suoi operai (sette) che hanno inscenato una protesta a 30 metri d’altezza per ottenere il pagamento di lavori realizzati 5 anni fa. Ho, allora, fatto un confronto e ho compreso la grande differenza tra le due gru: a parte l’altezza e la diversità tra Cologno Monzese e la Grande Mela, quella del Rockefeller Center simboleggiava la fine della Grande Depressione, quella dell’hinterland milanese ti dà il quadro, disperato, della crisi attuale. Una differenza resa ancora più evidente dai muratori protagonisti delle due immagini: quelli di allora mostravano con soddisfazione il loro packet-lunch e, qualcuno, fumava pure la sigaretta, quelli di adesso non mangiano e non bevono: sono tutti immigrati di religione islamica e, per loro, vige il Ramadan. Sono stati sotto un sole cocente e, per alcune ore, sono apparsi disperati e assetati. Ho pensato che, forse, erano più fortunati quegli immigrati di origine irlandese di oltre 80 anni fa. Quando era bello stare appollaiati su una gru, nonostante il ’29 e la Grande Depressione.
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