L’occupazione e lo spread

UN ASSIDUO lettore di Varese mi bacchetta citando una frase di Mark Twain. Il grande scrittore americano viene tirato in ballo a proposito dell’altalena dello spread. Nel 2011, quando il differenziale tra i titoli di Stato italiani e i Bund tedeschi schizzò alle stelle, superando la fatidica “quota 500”, i giornali parlarono di una Pearl Harbor […]

UN ASSIDUO lettore di Varese mi bacchetta citando una frase di Mark Twain. Il grande scrittore americano viene tirato in ballo a proposito dell’altalena dello spread. Nel 2011, quando il differenziale tra i titoli di Stato italiani e i Bund tedeschi schizzò alle stelle, superando la fatidica “quota 500”, i giornali parlarono di una Pearl Harbor dell’economia italiana. A leggere certi titoli, sembrava veramente di essere alla vigilia di una guerra e il presidente Napolitano corse subito ai ripari rimpiazzando il governo Berlusconi con l’esecutivo dei tecnici guidato da Mario Monti con i risultati deludenti che tutti conosciamo.

Colpa dei giornali che drammatizzarono troppo la situazione? Effettivamente molti quotidiani suonarono, allora, il “De Profundis” per accelerare la caduta dell’ex Cavaliere che ha poi parlato di un complotto internazionale ai suoi danni. Il clima di quei giorni era, comunque, molto pesante a prescindere dai mass media.

TRANNE POI scoprire che la disoccupazione in Italia era ancora attestata al 10-11 per cento, mentre oggi siamo, addirittura, al 13 con tendenza al peggio. Lo spread adesso è sceso a 160  e tutti si sentono liberi e belli, almeno rispetto a due anni e mezzo fa, ma vallo a spiegare ai tanti senza lavoro che, giorno dopo giorno, continuano ad aumentare.  Dove sia nascosta questa benedetta ripresa, troppo spesso preannunciata e sempre rinviata non lo sa veramente nessuno: pensiamo che il peggio sia passato, ma poi, se si osserva in modo approfondito la situazione, ci si rende conto che il dato congiunturale più indicativo, il lavoro, continua a peggiorare, soprattutto per quanto riguarda i giovani.

SE SI FACESSE un sondaggio, gli italiani risponderebbero, forse, che si stava meglio nel 2011. Il premier Renzi si è imposto una tabella di marcia massacrante per cercare di rimettere in sesto la baracca e dare, in particolare, qualche spinta in più sul fronte dei tagli alla spesa e dell’occupazione, ma la strada verso il risanamento resta comunque lunga, troppo lunga.

Tutte le proiezioni parlano, infatti, di un aumento modesto della crescita fin quasi al 2020. Un segnale positivo così impercettibile che, se confermato, non sarà in grado di farci voltare davvero pagina nei prossimi anni. E, fino a prova contraria, lo spread non crea, realmente, posti di lavoro.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net