DEBBO CONFESSARE che non mi ha sorpreso più di tanto l’emorragia cerebrale che ha colpito, domenica, l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani e che, fortunatamente, sembra non avere provocato danni neurologici. Dietro la maschera di tranquilla sicurezza, c’è sempre stato, infatti, un uomo non certo immune dallo “stress” della politica.

A SENTIRLO PARLARE, può apparire alieno dalle emozioni, ma, invece, non è così. L’ho scoperto quasi tre anni fa, durante un fugace incontro all’ingresso di Montecitorio. Conoscevo già da tempo il candidato premier alle ultime Politiche – da quando, cioé, era presidente della Regione Emilia-Romagna -, ma la coabitazione forzata, sia pur su sponde opposte, nell’”aula sorda e grigia” aveva consentito di vederci più spesso. Dunque, quel giorno di luglio del 2011, Bersani mi chiese come andasse. Gli risposi che rimpiangevo i tempi in cui facevo il giornalista a tempo pieno. Mi dette ragione e mi confessò che anche lui non ne poteva quasi più di Roma e della politica. Aveva nostalgia della sua terra e del paese piacentino in cui era nato. Poi mi sorrise, quasi a volermi dire: “Hai voluto la bicicletta?”. Al contrario, a leggere i giornali di ieri, emergerebbe, piuttosto, il fatto che le sue sofferenze sarebbero sorte solo nel 2013, dopo la vittoria a metà, che è apparsa una sconfitta, nelle elezioni di febbraio con l’impossibilità di varare un nuovo governo e con il suo forzato ritiro. Quel piccolo episodio dimostra, invece, che già da tempo Bersani era logorato da “questa” politica, indipendentemente dalle poltrone ricoperte e da quelle che, con maggior fortuna, avrebbe potuto occupare. Ti sono vicino, caro Pierluigi, auguri… [email protected]