Lo spauracchio dell’uomo forte

IL 24 OTTOBRE 1922 Benito Mussolini partecipò ad un’adunata di camicie nere a Napoli e pronunciò la frase: «O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma». Tre giorni dopo, esattamente 92 anni fa, il debole esecutivo presieduto da Facta si dimise dopo  che il re aveva respinto la richiesta di stato d’assedio, […]

IL 24 OTTOBRE 1922 Benito Mussolini partecipò ad un’adunata di camicie nere a Napoli e pronunciò la frase: «O ci daranno il governo o lo prenderemo calando a Roma». Tre giorni dopo, esattamente 92 anni fa, il debole esecutivo presieduto da Facta si dimise dopo  che il re aveva respinto la richiesta di stato d’assedio, All’indomani, il 28 ottobre, la marcia dei fascisti sulla capitale era cosa fatta. Ho ricordato quest’anniversario non certo per commemorare una data nefasta per la democrazia italiana, ma solo perché avverto, nel Paese, un brutto clima che, in qualche modo, dovrebbe farci aprire gli occhi. Da una parte assistiamo, infatti, alle adunate quasi oceaniche della Cgil, anche se sono ormai lontani i tempi di Cofferati, quando il sindacato aveva a fianco il maggior partito della sinistra e manifestava contro Berlusconi, mentre oggi il vero nemico si chiama Renzi che, guarda caso, è anche il segretario del Pd. Dall’altra parte, lo stesso premier ha, contemporaneamente, lanciato, da Firenze, una nuova Leopolda, quasi a voler suggellare la crescita dell’ex sindaco, proiettato verso inesplorati territori politici.  C’è, insomma, un’enorme confusione nell’aria, con i ruoli che vengono disinvoltamente rovesciati e, magari, trovi il rampante fiorentino di Palazzo Chigi osteggiato dalla sinistra più intransigente, mentre è, invece, sostenuto dagli ex-nemici di Forza Italia: non è una semplice coincidenza il fatto che, oggi, il vero uomo forte dei berlusconiani, oltre il cerchio magico di Arcore, sia proprio Denis Verdini, toscano come Renzi e grande tessitore dell’éntente cordiale Matteo-Silvio.

QUESTI GROVIGLI, che si intersecano su piani scivolosi, finiscono per alimentare l’incertezza e il caos, oltre alla paura per il futuro: anche nei periodi più difficili dal 1945 ad oggi – dopo la catastrofica guerra mondiale, ultima conseguenza di quella marcia su Roma che spianò la strada alla dittatura -, siamo sempre stati assistiti dallo stellone italico e dalla certezza di un domani migliore. Adesso, indeboliti da una crisi economica senza precedenti e da una paralisi strutturale che continua, sia pure parzialmente, a permanere, nonostante proclami e promesse di riforme, viviamo un’incertezza profonda. Proprio questa settimana, la prestigiosa rivista inglese ‘The Spectator’ ha dedicato la copertina all’Italia in pezzi, con un lucido articolo di Nicholas Farrell, grande conoscitore del Belpaese, che mette a nudo il nostro declino irreversibile anche per colpa dell’euro. Paghiamo, infatti, le conseguenze di tanti anni di atteggiamento passivo e succube nei confronti di un’Europa che ci ha tolto tanto e non ci ha dato quasi nulla. Ergo: siamo, anche emotivamente, alla frutta e, persino in qualche salotto sofisticato e radical-chic, sento ripetere: «Qui ci vorrebbe un uomo forte! ». Una frase che mi riempie d’angoscia anche perché, a proposito di uomini forti, l’Italia ha già dato.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net