L’harakiri occidentale

C’È UN ANZIANO autista egiziano, da moltissimi anni residente a Milano, che mi porta, ogni giorno, con la navetta, dall’albergo alla metropolitana. Ieri ci siamo messi a parlare dell’Isis e l’uomo, che ha ancora la famiglia al Cairo, ha sottolineato un punto del problema, sottovalutato da molti esperti: al dì là dei fanatici kamikaze islamici, […]

C’È UN ANZIANO autista egiziano, da moltissimi anni residente a Milano, che mi porta, ogni giorno, con la navetta, dall’albergo alla metropolitana. Ieri ci siamo messi a parlare dell’Isis e l’uomo, che ha ancora la famiglia al Cairo, ha sottolineato un punto del problema, sottovalutato da molti esperti: al dì là dei fanatici kamikaze islamici, chi continua a comprare a prezzi superscontati il greggio del Califfato?

Come ha sottolineato l’economista Alberto Clò, ex ministro dell’Industria e massimo esperto petrolifero in Italia, il commercio illegale di oro nero frutta ai terroristi qualcosa come 35mila-40mila barili al giorno con proventi che, su base annua, raggiungono i 550 milioni di dollari (quasi 2 milioni al giorno). Un fiume di denaro che corre verso il nord-est della Siria e il nord-ovest dell’Irak e che consente ai guerriglieri dell’Isis di armarsi con carri armati, kalashnikov, bombe e pistole acquistati in gran parte, sempre illegalmente, negli Stati Uniti ed in Europa.

Credo che l’amico egiziano qualche ragione ce l’abbia: cosa stanno facendo i leader occidentali, magari cominciando proprio da Obama ed Hollande, per bloccare questo commercio di morte? Per dirla alla stregua dei giapponesi, siamo di fronte ad una specie di “harakiri” collettivo con una grande differenza: i soldati nipponici si toglievano la vita volontariamente al grido di “banzai”, noi rischiamo di suicidarci, senza neanche saperlo, per mano di quei fanatici che noi stessi abbiamo finanziato e che ci ammazzano urlando “Allah u Akbar”.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net