AVEVANO DETTO che l’Italia era il Paese del nero e che il sommerso era la nostra rovina. Proprio alla fine del 2011, il premier in loden, Mario Monti, aveva messo un punto fermo fissando la tracciabilità degli assegni a mille euro dopo che, pochi mesi prima, Tremonti, era già sceso a “quota 2.500”.Il «grande fratello» antievasione aveva, insomma, dato la stoccata finale: addio caparre-extra, addio arrotondamenti «fai-da-te», mai più soldi sottobanco. Sia pure bofonchiando, la stragrande maggioranza degli italiani si era, allora, messa in regola perché aveva capito che quella blindatura a quota mille era l’unico modo per fare emergere gli odiati evasori. Invece, ancora una volta, non avevamo capito nulla per la semplice ragione che adesso, appena tre anni dopo, il governo Renzi ha innalzato quell’asticella a tremila euro. Ci assale anche il grosso dubbio che il giro di vite della tracciabilità degli assegni non fosse, poi, una così grande priorità se, mille giorni dopo, facciamo marcia indietro. Eppure un grande esperto come Raffaele Cantone, l’uomo della lotta alla corruzione, spara a zero contro il dietro-front. Non si può continuare ad andare a zig-zag: prima dicono una cosa, poi un’altra opposta o quasi, non è neppure carino vedere un governo che sconfessa le decisioni prese da quello precedente. La certezza del diritto diventa sublime incertezza, così come l’oggettività delle regole economiche: oggi, comunque, non siamo più sicuri di niente.

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