A VOLTE RITORNANO. Sembrava quasi che Mario Draghi si fosse perso nelle nebbie nordiche – schiacciato da una situazione congiunturale che sta affondando l’Europa e dagli attacchi degli ultimi panzer della Ue guidati da Angela Merkel -, ma il presidente della Bce è tornato in gioco, almeno sul fronte italiano. Molti, infatti, hanno rispolverato il suo nome in vista delle grandi manovre prossime venture: chi lo indica come successore al Quirinale di Napolitano in procinto di abdicare subito dopo la conclusione della presidenza Ue, all’inizio del nuovo anno, chi lo vorrebbe alla guida di un esecutivo di tecnici qualora l’emergenza economica dovesse ulteriormente deflagrare. Una cosa è certa: lo scenario politico è improvvisamente cambiato e il grande idillio di Renzi con gli italiani sta perdendo qualche colpo. Provate a farci caso: nell’arco di una sola settimana, il premier è stato costretto ad incassare prima gli attacchi di certe frange dei sindacati, a cominciare dalla Camusso, sull’abolizione dell’articolo 18, poi gli “j’accuse” dei poteri forti attraverso le colonne del “Corriere”, e, infine, addirittura gli strali, per bocca del loro segretario generale, dei vescovi italiani ipercritici sulle promesse mancate del governo.

SECONDO molti addetti ai lavori, la triplice offensiva potrebbe avere un filo conduttore riconducibile allo stesso, inconsapevole, Draghi. Se, fino a qualche settimana fa, tutti sostenevano, infatti, che non c’erano alternative al giovin Matteo, oggi i dubbi sull’operato del governo cominciano a crescere anche all’interno del Pd, il partito di maggioranza. Non solo: sia a sinistra che a destra aumentano le critiche rivolte al Patto del Nazareno tra Renzi e Berlusconi e ai suoi obiettivi. È il caso della successione di Napolitano: nella rosa dei papabili indicati dal premier, assieme a un Grasso e a un Gianni Letta, manca, appunto, una personalità del calibro di Draghi.

L’INQUILINO di Eurotower, sempre più provato dalle tempeste monetarie di Francoforte, potrebbe, dunque, entrare in lizza anche per Palazzo Chigi, in caso di un’accelerazione che costringa Renzi alla resa. È, questa, la previsione di alcuni opinionisti che, però, non condivido. Credo, infatti, che, dichiarazioni ufficiali a parte, il presidente del Consiglio non sia affatto disposto a mollare: se comprenderà di non essere davvero più in grado di governare la situazione, sarà, comunque, il primo a invocare le elezioni anticipate, forse già nella primavera del 2015. Il sindaco d’Italia è, infatti, convinto di riuscire a incanalare ancora il voto degli italiani, a patto che non ci si allontani troppo dalla data del trionfo alle Europee, con quel favoloso 40,8% conquistato. 

MA, AL DI LÀ delle varie ipotesi sul tappeto, l’autunno pare cominciato anche per gli equilibri di governo, dopo una primavera-estate di grandi promesse. Tutti avevamo sperato nella svolta: ora è il momento delle verifiche. Senza perdere troppo tempo, perché le riforme da completare sono sempre dietro l’angolo. Renzi o non Renzi.

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