A una settimana dal voto, se vogliamo tracciare un primo bilancio della campagna elettorale, non ho molti dubbi: bocciatura su tutti i fronti. Da un mese a questa parte, lo spettacolo, andato in onda esclusivamente in tv, ha fatto rimpiangere i comizi, meno invasivi, di una volta: quelli in piazza, su un palco di fortuna, con qualche decina di convinti militanti.  Le premesse erano già state pessime: dopo mesi e mesi di tentativi, dopo accorati appelli del Presidente Napolitano – che ogni giorno ci confeziona una predica – sulla necessità della riforma elettorale, la paleolitica montagna della politica non ha partorito neppure il classico topolino, perché è rimasto in piedi, inaffondabile, il vecchio “Porcellum”. Che, in pratica, demanda ai partiti la scelta dei candidati, in base a criteri discutibili, impedendo ai cittadini di selezionare i propri rappresentanti. Come se non bastasse un siffatto, indigesto antipasto, c’è stata poi la sagra delle promesse choc, come se gli italiani fossero dei sempliciotti a cui si può somministrare qualsiasi bufala senza pagare pegno.

Ma come? Per un anno ci hanno detto che il Paese stava attraversando un periodo di gravissima emergenza. Che era un nuovo ’29 e che rischiavamo la bancarotta. E che, di fronte allo “spread” e alla speculazione internazionale, non si poteva fare a meno dei tecnici, i soli in grado di adottare, in una situazione così difficile, quelle decisioni impopolari che nessun esecutivo politico avrebbe mai potuto varare.  Adess il quadro congiunturale non è affatto migliorato, la crisi continua a mordere, le previsioni di ripresa sono molto incerte (anzi alcuni fondamentali economici sono peggiorati), eppure tutti i candidati premier continuano a sfidarsi nella loro personale gara a chi le spara più grosse: se Berlusconi, in caso di vittoria, assicura la restituzione dell’Imu sulla prima casa, il condono fiscale e l’accordo con la Svizzera sulla tassazione dei capitali italiani custoditi nelle banche ticinesi, Monti non è da meno e anche Bersani deve stare al gioco. Per un pugno di voti in più, promettono la luna nel pozzo, ma in realtà gli italiani non sono così stupidi: hanno capito l’antifona e assistono allo spettacolo, arrabbiati e confusi, mentre non vedono salvifiche vie d’uscita. Forse era più  onesto Achille Lauro: a Napoli, il mitico Comandante, distribuiva le scarpe spaiate: una veniva consegnata prima che il cittadino entrasse nell’urna e la seconda all’uscita, un sistema semplice ed efficace per comprare la preferenza dei suoi fan. Oggi nessuno (si spera…) riesce a comprare il voto, ma chi è veramente in grado di mantenere poi le promesse? Credo che la rabbia dei cittadini che continuano a pagare le tasse e si sentono pure presi in giro, non perdonerà chi si è fatto beffa, per tanto tempo, degli italiani.

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