Il  premier Matteo Renzi potrà essere tacciato di tanti difetti, ma non certo di essere un inguaribile pessimista. Semmai, dell’esatto contrario. È vero, gli imprenditori presenti a Cernobbio si sono dichiarati, in gran parte, fiduciosi sulla ripresa che dovrebbe essere favorita dalla riduzione delle tasse promessa dal sindaco d’Italia, ma c’è davvero uno spazio di manovra per intervenire? Già lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, aveva messo le mani avanti, parlando al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, perché, aveva sostenuto, qualsiasi manovra stabile e strutturale sul fronte fiscale deve necessariamente passare da una contestuale correzione del debito pubblico, impresa non certo facile di questi tempi. Una specie di cul de sac: o si taglia la spesa, o si tiene la tassazione alta. Nel discorso di Renzi, manca quindi un particolare: quando afferma di tagliare o abolire qualche imposta, deve pure dire come pensa di agire contemporaneamente sul disavanzo.

A gelare, però, ancora più le speranze di un regalo di Natale firmato Matteo, sono state le dichiarazioni, l’altro giorno, di Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, la Bce, un’ulteriore doccia fredda sulle speranze di riscossa: la ripresa del Vecchio Continente continuerà, ma ad un ritmo più lento di quanto previsto in precedenza. Supermario ha, in effetti, anticipato un quadro non certo rassicurante per Palazzo Chigi & C.: troppe sono le incognite e i nuvoloni che rabbuiano lo scenario internazionale.

L’evoluzione dell’ultimo anno è apparsa piuttosto preoccupante sullo scacchiere mondiale. Prima c’è stata la crisi tra Russia e Ucraina che ha fatto pure registrare, per quanto riguarda il Belpaese, qualche contraccolpo turistico e ha finito per congelare il “made in Italy” su uno dei mercati più promettenti ed in espansione del decennio appena trascorso. Poi si è pericolosamente allungato il pianto greco che, da Atene, ha scaricato lacrime ed incertezze un po’ dappertutto, a cominciare dall’area del Mediterraneo. Infine c’è stato, a sorpresa, lo scivolone di Pechino. Ho interpellato, in proposito, uno dei massimi esperti del pianeta giallo, Alberto Forchielli, che è stato caustico nelle previsioni: «Per la maggior parte della Cina non ci sarà alcuna crescita mentre il mercato azionario continua ad essere pericoloso e io mi aspetto seri problemi d’instabilità sociale». Insomma, la sindrome cinese è sempre dietro l’angolo.

Come se non bastassero queste debolezze di carattere economico, ci sono, poi, problemi politici e sociali, l’emergenza immigrati e le minacce dell’Isis, che rischiano di sconvolgere l’Europa. Non dobbiamo certamente piegarci e, proprio domenica scorsa, ho cercato di mettere in luce alcuni aspetti rassicuranti di quest’estate italiana che va in archivio, ma credo che Renzi non abbia scelto il momento migliore per lanciare nuovi proclami sulle tasse da alleggerire. Mi auguro solo che, da qui a breve, non sia costretto a rimangiarsi le promesse fatte. Incrociamo, quindi, le dita: che l’autunno sia lieve.
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