PIÙ GLI ANNI passano, più si torna alle origini. È il caso di Romano Prodi che, domenica, non andrà neppure a votare alle primarie del Pd, ma, intanto, riscopre la sua antica attività di economista. L’altro giorno, come ex presidente dell’Iri, ha, così, discettato, a Milano, sull’antico scontro tra Enrico Cuccia, padrino di Mediobanca, e Raffaele Mattioli, nume tutelare della vecchia Comit, che finì con la vittoria dell’omino di via Filodrammatici.

AL DI LÀ DEI RISVOLTI negativi di quel braccio di ferro, è emerso, ancora una volta, l’aspetto enigmatico del banchiere siciliano. Aveva ragione chi disse: «Non si muove foglia che don Enrico non voglia». L’imperscrutabile ras della banca d’affari è stato, davvero, un personaggio fuori da ogni regola. Anch’io ho un piccolo ricordo personale che la dice lunga sul grande tessitore, amico di Montanelli (quando Indro divorziò da Berlusconi, gli offrì la direzione del “Corriere”, ma il toscanaccio rifiutò per non abbandonare i suoi “ragazzi”). Assieme al giornalista Claudio Lindner, più di venti anni fa, avevo scritto il libro “Il leone di Trieste” che raccontava la lunga storia delle Assicurazioni Generali gravitanti nell’orbita Mediobanca. Da povero provinciale ingenuo, chiesi alla segretaria di Cuccia se il Dottore potesse concedermi un’intervista. Mi venne risposto che il capo non parlava con i giornalisti: però potevo spedirgli le bozze e il banchiere, forse, avrebbe inserito di suo pugno qualche frase. Ubbidii prontamente. Non avendo, però, avuto alcuna risposta, richiamai, qualche tempo dopo, la fedele assistente di via Filodrammatici: «Il Dottore le rimanda il libro perché non ha avuto il tempo di leggerlo!». Quando si dice un vecchio marpione…
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