IL RITORNO a casa della Crimea. Dopo il referendum di domenica scorsa, con il distacco ufficiale dall’Ucraina, la penisola ha cominciato il viaggio di non ritorno che si concluderà solo con il matrimonio con la Russia di Putin.

UNA RIUNIFICAZIONE fortemente voluta dagli abitanti della Crimea, e, quindi, non mi trovo affatto d’accordo con le posizioni assunte da Obama e dall’Europa che parlano di diritti civili calpestati mentre pensano soprattutto al loro portafoglio. L’espansionismo di Mosca può dare fastidio a molti, ma, di fronte all’autoderminazione di un popolo, credo sia sbagliato condannare il blitz. Molti, in questi giorni, hanno ricordato il 31 dicembre del 1991 quando si dissolse l’Unione Sovietica di Gorbaciov, fine di un mondo, con i suoi equilibri, che ancora non si è assestato. Gli avvenimenti di questi giorni mi ricordano, invece, storie di tanto tempo fa: parlo dell’assedio del 1854 di Sebastopoli, anche allora in mano ai russi, da parte delle truppe d’occupazione inglesi, francesi e, dulcis in fundo, del piccolo Regno di Sardegna. Sbarcate in soccorso dell’esercito ottomano, per una volta, nelle vesti degli aggrediti, dopo 12 mesi, espugnarono la roccaforte russa. Oggi i connazionali di Putin si prendono la rivincita. È proprio vero che, nella storia, non si può mai dire l’ultima parola.
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