QUANDO, nel luglio scorso a Cervia, venni sfiorato da due banane indirizzate al ministro dell’Integrazione, Cécile Kyenge, durante un dibattito in quella che una volta veniva chiamata Festa dell’Unità, toccai con mano a quali livelli di violenta e stupida esasperazione fosse giunta l’emergenza-immigrati in Italia. Sono trascorsi, da allora, tre mesi e la situazione non è affatto migliorata, anzi è peggiorata moltissimo. Quello che è successo giovedì davanti alle coste di Lampedusa, con decine e decine di africani morti a pochi metri dalla riva, è la goccia che ha fatto traboccare il vaso: siamo davvero all’anno zero dell’umanità. Ha perfettamente ragione Papa Francesco quando parla di “vergogna”. Una vergogna che dovrebbe fare riflettere tutti gli italiani, a cominciare dai tanti ministri che, nel corso degli anni, si sono susseguiti, senza riuscire a trovare qualche soluzione al problema che si è trasformato in una vera calamità per tutto il Paese.

E NON SERVONO a niente le lacrime di coccodrillo che abbiamo letto in questi giorni sui quotidiani. Non basta, infatti, proclamare il lutto nazionale per sperare di poter passare la nottata, magari addossando tutte le colpe all’Europa che, in questi anni, ci ha lasciato colpevolmente soli. Se Bruxelles ha grandissime responsabilità, ancora maggiori sono quelle di Roma. Sono restato, ad esempio, colpito dalle dichiarazioni del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che dopo avere espresso “orrore” per le centinaia di morti di Lampedusa, ha aggiunto: “ora dobbiamo reagire”. Ma allora, viene da pensare, abbiamo solo perso tempo in tutti questi anni senza mai affrontare di petto la situazione, immersi nel nostro perenne letargo istituzionale. Qualche giorno di sdegno e poi tutto ritorna come prima. Senza contare che i sopravvissuti ora sono indagati per immigrazione clandestina. Atto dovuto, s’intende, ma pur sempre indice dei paradossi di questo Paese. Le parole del ministro dell’Interno, Angelino Alfano, che ha spiegato che questa non è un’emergenza, ma una realtà dei nostri giorni e delle nostre coste, prese d’assalto da migliaia di disperati in fuga da guerre, persecuzioni e povertà, devono concretizzarsi in qualche iniziativa parlamentare più efficace, da ogni punto di vista, delle norme oggi in vigore. La Kyenge ha affermato: “Quei morti li abbiamo tutti sulla coscienza”. La ministra non ha torto: cosa abbiamo fatto, in concreto, per affrontare una piaga epocale che, giorno dopo giorno, assume le dimensioni di una catastrofe per gli immigrati, ma anche per gli italiani? E che dire, poi, del clima quasi di assuefazione davanti a simili tragedie? Mi chiedo cosa sarebbe successo se tutti quei morti fossero stati italiani. E mi vengono in mente i parametri fissati da un cinico caporedattore dei tempi che furono che classificava l’importanza di una notizia a seconda della nazionalità delle persone coinvolte: se quei morti fossero stati italiani, i giornali sarebbero usciti in edizioni straordinarie interamente dedicate all’immane strage. Essendo stranieri, e per di più neri, basta un giorno di lutto nazionale con la richiesta del Nobel della pace per Lampedusa. E tutto tornerà, poi, come prima.
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