DA TANTI ANNI mi occupo, da giornalista, di economia e molte volte mi è capitato di vedere industriali e banchieri che si comportavano come i capponi di Renzo, sempre pronti a beccarsi e a guardarsi, paradossalmente, in cagnesco. Mi fa, quindi, molto piacere constatare che Giorgio Squinzi, presidente della Confindustria, e Antonio Patuelli, presidente dell’Abi, procedano, oggi, in perfetta sintonia.

È GIÀ ACCADUTO nella battaglia comune per ottenere dal governo significative misure per consolidare la ripresa, è successo, martedì, con la richiesta di entrambi del taglio del cuneo fiscale. Sono contento della “liaison” che si è creata, una specie di “patto della produzione”, per due motivi.  Il primo perché amo questo Paese e spero che l’Italia sia capace di riemergere dall’abisso: in tal senso, la “santa alleanza” tra banchieri e industriali è una carta vincente. Pur nel rispetto dei diversi ruoli, o i due mondi riescono a voltare davvero pagina, andando a braccetto, o non ci scrolleremo più di dosso l’ombra della recessione.  Il secondo motivo è più personale: conosco da una vita Patuelli e Squinzi che, come il sottoscritto, sono da sempre molto legati alla Romagna. L’amarcord è diventato quindi, un motivo d’unione: proprio a Cervia, ho moderato il primo, vero, confronto pubblico tra i due protagonisti dell’economia. Era l’inizio dell’estate e il “feeling” si è poi rafforzato. Insomma, a proposito di ricordi manzoniani, Squinzi e Patuelli hanno subito concordato: questo matrimonio s’ ha da fare…

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