La verità su Matteotti

SONO TRASCORSI novant’anni dalla morte del socialista Giacomo Matteotti ad opera di una squadraccia di cinque fascisti guidata da Amerigo Dumini. ANCORA non sappiamo, con sicurezza, se sia stato o no un omicidio premeditato e neppure se il mandante sia stato o meno Mussolini. Nulla di nuovo: così è sempre andata la giustizia in Italia, soprattutto quando […]

SONO TRASCORSI novant’anni dalla morte del socialista Giacomo Matteotti ad opera di una squadraccia di cinque fascisti guidata da Amerigo Dumini.

ANCORA non sappiamo, con sicurezza, se sia stato o no un omicidio premeditato e neppure se il mandante sia stato o meno Mussolini. Nulla di nuovo: così è sempre andata la giustizia in Italia, soprattutto quando ci sono forti implicazioni politiche. Ne parlo oggi (il delitto avvenne il 24 giugno del 1924) perché, l’altra sera, ho ascoltato una bellissima relazione dello scrittore Roberto Gervaso: un lungo excursus sul Novecento, con una particolare attenzione a quell’episodio che ha fatto precipitare l’Italia nella dittatura fascista. La ricostruzione dello scrittore è stata dettagliata. Da tempo il Duce si lamentava del deputato rodigino, grande paladino dell’opposizione prima ancora di tenere il famoso discorso del 30 maggio 1924 in cui accusò il governo di avere fomentato i soprusi nella campagna elettorale. È probabile che Benito, parlando con i suoi cortigiani, abbia espresso la volontà di infliggere a quel socialista mingherlino una bella lezione. Ma da qui a sostenere che Mussolini sia il mandante del delitto ce ne passa, nonostante quasi tutta la storiografia della Resistenza e del dopoguerra abbia sostenuto tale tesi. È, invece, probabile che i bravi in camicia nera abbiano, addirittura, agito all’insaputa del capo del partito: più realisti del re. Per l’anniversario della morte di Matteotti saranno pubblicati alcuni saggi che cercano di ricostruire l’intera vicenda. La tesi più accreditata è che i cinque fascisti avessero rapito il deputato per riempirlo di botte, ma ci sarebbe stato un imprevisto: il socialista, piccolo finché si vuole, si difese strenuamente e sferrò un calcione al basso ventre di uno del manipolo. Gli uomini di Dumini avrebbero, allora, perso la testa e uno di questi, Giuseppe Viola, avrebbe colpito Matteotti al torace con una lima arrugginita. L’agonia dell’uomo politico veneto durò qualche ora, l’agonia della democrazia in Italia, favorita proprio da quell’omicidio, è andata avanti un ventennio. giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net