UNO CHE DI PREVISIONI economiche se ne intende, il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, che ho interpellato in questi giorni, si è dichiarato piuttosto ottimista sull’avvio della ripresa nel 2015. Il fatto che lo dica lui, sempre molto cauto nell’azzardare pronostici, fa ben sperare. In effetti, l’onda della recessione è ancora lunga, ma qualcosa lascia supporre che, nell’anno appena trascorso, si siano gettate le basi per voltare pagina. Alcuni fattori sono, decisamente, migliorati: è il caso del forte calo del prezzo del petrolio che favorisce un ritorno di competitività del “made in Italy”, con evidenti riflessi positivi sul prodotto interno lordo e sul portafoglio degli italiani. Nulla di certo, perché questi vantaggi potrebbero essere annullati dalle conseguenze della crisi ucraina e delle sanzioni alla Russia, ma la strada appare, comunque, in discesa per il semplice motivo che, nel 2014, abbiamo registrato segnali positivi sull’allentamento dell’enorme macigno del debito pubblico.

GRAZIE, infatti, al calo dei tassi, abbiamo pagato solo l’1,35% sul nostro disavanzo. In altre parole, ci sono le premesse per un cambio di marcia, considerando pure che i nostri prodotti hanno riacquistato competitività grazie al cambio euro-dollaro ora più favorevole. Il problema è un altro: già in precedenti Capodanni, gli economisti (non certo Patuelli) ci avevano un po’ illuso, favorendo aspettative che sono, poi, andate, regolarmente, disattese. Una volta è stato l’euro che ci ha messo in croce, un’altra l’eccessivo carico fiscale che continua a gravare su famiglie ed imprese: morale della favola ci siamo avvitati in una crisi sempre più profonda e la delusione per la mancata ripartenza si è rivelata un boomerang per lo stato d’animo del Belpaese. Oggi, rispetto agli anni passati, c’è un motivo di fiducia in più: si chiama recovery dell’economia americana che ha decisamente superato il giro di boa. Se va il rimorchiatore a stelle e a strisce, perché, sull’abbrivio, anche la nave europea non dovrebbe riprendere velocità? Certo l’Italia ha qualche chiaroscuro in più legato alle difficoltà del quadro politico. L’ultimo caso all’insegna dell’incertezza è l’imminente elezione al Soglio quirinalizio del successore di Napolitano. Chi ci dice, ad esempio, che il no, dichiarato da Mario Draghi venerdì scorso ad un giornale tedesco, non sia soltanto una mossa tattica?

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