PIOVE. Piove senza fine sull’Italia. Camminiamo a testa bassa per strade viscide, quasi schiacciati da quel cielo plumbeo che incombe, annienta e toglie ogni speranza per il domani. Ci guardiamo senza vederci, chiusi nella nostra incertezza. Tempi brutti e silenziosi, come ci mancasse la voce. Pochi rumori, saracinesche abbassate o segnate da graffiti volgari, quasi a siglare un fallimento, una sconfitta. Sembriamo davvero un Paese con l’acqua alla gola, che non trova la strada per tornare a galla. Ci stiamo dibattendo tra urla, insulti e affondiamo come se fossimo sopra le sabbie mobili. Mi viene in mente una frase che Elio Vittorini ha scritto nel 1941, cioè nel pieno della guerra: «Questo era il terribile: la quiete nella non speranza. Credere il genere umano perduto e non aver febbre di fare qualcosa in contrario». Peggio di Leopardi: almeno lui credeva nella quiete dopo la tempesta.