La Prefetta di ferro

CONOSCO da anni il ministro Annamaria Cancellieri, da quando, cioè, era commissario straordinario al Comune di Bologna, e l’ho sempre considerata il vero prototipo del grand commis di Stato, un alto funzionario dell’apparato, come quelli di una volta: irreprensibile e distante, nonostante l’aspetto bonario che induce simpatia. Un prefetto alla Mori, tanto per intenderci. Sono, […]

CONOSCO da anni il ministro Annamaria Cancellieri, da quando, cioè, era commissario straordinario al Comune di Bologna, e l’ho sempre considerata il vero prototipo del grand commis di Stato, un alto funzionario dell’apparato, come quelli di una volta: irreprensibile e distante, nonostante l’aspetto bonario che induce simpatia. Un prefetto alla Mori, tanto per intenderci. Sono, quindi, rimasto piuttosto sorpreso a vederla oggi, da ministro della Giustizia, coinvolta nella vicenda di Giulia Ligresti che, di recente, è uscita dal carcere per motivi di salute: oggi la Cancellieri di ferro è al centro di un tifone che potrebbe mettere a rischio il futuro stesso del governo, oltre che la sua permanenza come Guardasigilli. Premessa: non siamo un Paese normale, perché qualsiasi nostro comportamento, anche il più innocente, può essere interpretato con malizia e strumentalizzato con un uso troppo spregiudicato delle intercettazioni telefoniche.

CHI È CAUSA del suo mal, pianga se stesso: proprio il ministro ora nell’occhio del ciclone, ha, paradossalmente, molte responsabilità – prima come titolare del Viminale nell’esecutivo Monti, poi come Guardasigilli con Enrico Letta – per non avere contribuito a disboscare la giungla delle intercettazioni.

MA VENIAMO nel merito della delicata questione. Di fronte alle accuse che mezz’Italia le rivolge, la Cancellieri si difende – e lo ripeterà in Parlamento – spiegando che è intervenuta nella vicenda Ligresti per ragioni squisitamente umanitarie: Giulia in carcere non mangiava più ed avendo sofferto, in passato, di anoressia era in una situazione critica. Giusto, giustissimo. Il problema è, però, un altro: il ministro era una vecchia amica della famiglia Ligresti. Non solo: suo figlio, Piergiorgio Peluso, era diventato direttore generale di Fonsai nel 2011 su chiamata dei Ligresti e si era dimesso, dopo appena un anno, con un’astronomica buonuscita. Insomma, agli occhi di Annamaria, Giulia non era una detenuta come le altre. Cosa avrebbe, quindi, dovuto fare? Non certo lasciare morire la giovane donna in carcere per inedia. Ma neppure promettere un suo interessamento diretto e intervenire in prima persona nel caso: l’avrebbe fatto con un’altra detenuta? Sappiamo tutti cosa si fa per i figli…

E ALLORA? Senza doversi sottoporre a un pubblico processo in Parlamento, la Cancellieri, secondo me, farebbe meglio a dimettersi perché, comunque, rimarrebbe un vulnus nel suo incarico ministeriale. E lei, prefetto tutto d’un pezzo, non può consentirlo. Del resto, l’Idem ha lasciato il suo incarico per una questione, imposte non pagate sulla casa, che non riguardava direttamente il proprio dicastero. Se l’ex canoista Josefa non è stata capace di sfuggire alle insidiose rapide degli “j’accuse”, come può riuscirci ora Annamaria?

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net