QUATTRO QUINTI degli italiani non vogliono la crisi di governo: lo dicono gli ultimi, inascoltati, sondaggi. Anche se il premier Letta dimostra di sapersi meglio destreggiare con i viaggi di Stato, l’ultimo come ambasciatore dell’Expo, a New York, piuttosto che con i conti del Paese, un vuoto istituzionale sarebbe, in questo momento, un assoluto salto nel buio. Come hanno più volte ammonito il numero uno degli industriali, Giorgio Squinzi, e il numero uno dei banchieri, Antonio Patuelli, la caduta dell’esecutivo avrebbe effetti devastanti sullo spread e sulla tenuta del “sistema Italia”. Eppure i partiti delle larghe intese sono sordi alle tante voci che invocano una tregua e sembrano fare di tutto per arrivare al patatrac.

SE IL PD si dimostra particolarmente rigido sulla vicenda Berlusconi, per blandire gli istinti più sanguinari dei suoi elettori, il Pdl appare ancora più intransigente, minacciando il ritiro di tutti i parlamentari (o quasi: tra coloro che non mollano, un vecchio amico, il senatore siciliano Salvatore Torrisi) nel caso di una detronizzazione in aula del Cavaliere. Ieri, poi, le dimissioni dei ministri del Pdl, obbedienti alla richiesta di Berlusconi, hanno inferto un’ulteriore accelerazione alla drammatica incertezza di questi giorni.

L’USCITA IN MASSA del centrodestra, che sembra ormai inevitabile, sarebbe davvero un “boomerang” per il Paese che continua ad arrancare, nonostante la brezza di ripresa che si respira in tutta Europa. Da mesi, ormai, siamo perseguitati dalla battaglia sul futuro di Silvio, mentre dovremmo, tutti, concentrarci – a cominciare, ovviamente, dal Parlamento – sulle misure da adottare subito per restare agganciati ai nostri partner. Siamo diventati terra di conquista (è il caso di Telecom Italia che finisce agli spagnoli, considerati, fino all’altro giorno, alla canna del gas), ma noi continuiamo, imperterriti, a testa bassa, a farci la guerra, l’uno contro l’altro armati.
Al di là degli sviluppi della vicenda politico-giudiziaria di Berlusconi, è chiaro che, oggi, i parlamentari non sono più connessi agli italiani che li eleggono, ma, solo ed esclusivamente, ai rispettivi leader che ne decidono il destino. Ecco perché il ruolo di deputati e senatori, negli ultimi anni, si è svuotato: non rappresentano più nessuno, nè il loro territorio, nè gli interessi e le richieste di una comunità, ma sono soltanto carne da macello dei partiti: o sei in riga, oppure sei subito spazzato via. Diventa indifferibile la riforma elettorale: solo l’abolizione del “Porcellum” che nomina dall’alto i membri delle due Camere, (anche se ne basterebbe una) può ridare peso ed autorevolezza a coloro che erano considerati i rappresentanti del popolo. A questo punto, non ci resta che attendere il chiarimento in Parlamento chiesto da Enrico Letta: si vedrà se il premier ha i numeri per andare avanti e affrontare decisioni non più rinviabili come le misure economiche e le riforme istituzionali. A proposito, tra le accuse che i contendenti si rimpallano senza nessun rispetto per gli italiani, l’aumento dell’Iva ce lo teniamo tutto. Un bel regalo d’autunno, l’ennesimo.
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