La pelle dell’orso

Il premier Renzi non lo ammetterà mai, ma i veri sconfitti, oltre a Grillo, Meloni e Monti (batosta) e Berlusconi e Alfano (mezza batosta), sono stati i sondaggisti che hanno, clamorosamente, sbagliato tutte le previsioni. A mio parere, questa errata interpretazione delle intenzioni di voto ha finito per portare moltissima acqua in più nelle cisterne del Pd, […]

Il premier Renzi non lo ammetterà mai, ma i veri sconfitti, oltre a Grillo, Meloni e Monti (batosta) e Berlusconi e Alfano (mezza batosta), sono stati i sondaggisti che hanno, clamorosamente, sbagliato tutte le previsioni. A mio parere, questa errata interpretazione delle intenzioni di voto ha finito per portare moltissima acqua in più nelle cisterne del Pd, così come della Lega di Salvini e di Maroni, gli altri vincitori morali della giornata elettorale.

Negli ultimi giorni, infatti, si era creata una tale sindrome “Cinque Stelle”, alimentata proprio dai signori degli exit poll, che gli elettori moderati hanno finito per votare il partito di Matteo per fare da argine alla pericolosa, o almeno avvertita tale, marea montante della protesta grillina. Paradossalmente, la sinistra, sia pur annacquata dalla modernità di Renzi, ha rivestito lo stesso ruolo che, nella Prima Repubblica, era ricoperto dalla Democrazia Cristiana. Lo spauracchio grillino, più o meno esagerato, ha dato molta spinta in più al partito del Presidente del Consiglio che ha, così, sbaragliato tutti gli avversari. Gli stessi collaboratori del sindaco d’Italia, interpellati venerdì scorso al forum di Firenze del Qn, prevedevano una forbice di appena due punti percentuali tra Renzi e Grillo, attestando i democratici a “quota 34”.

Tutto sbagliato: argine o non argine, il premier è uscito così notevolmente rafforzato dal voto europeo, confermato anche dai risultati delle Regionali e delle Amministrative (a parte Pavia, dove il giovane sindaco uscente, Alessandro Cattaneo, ha retto l’urto). Oggi, il premier non ha più alibi: adesso ha tutta la forza necessaria per attuare quelle riforme che ha già annunciato senza potere poi passare all’incasso, tranne gli 80 euro in più in busta-paga. Si potrebbe, così, aprire un periodo positivo per l’Italia anche sugli scenari continentali: è, davvero, successo quello che meno t’aspettavi perché il Belpaese, fino all’immediata vigilia dell’apertura delle urne, sembrava il più a rischio sul fronte del voto di protesta, con tutte le conseguenze possibili sul futuro dell’euro.

E, invece, è accaduto esattamente il contrario: da noi si è rafforzato l’«establishment», sia pure sotto le giovani sembianze del leader fiorentino, mentre a Parigi e Londra i “no euro” – con il miracolo tutto di destra della Le Pen e l’incredibile “boom”  di Farage – hanno fatto la parte del leone. Persino in Germania è cresciuto il dissenso sia nei confronti di Bruxelles che della Merkel. E allora? Se esiste una morale in tutta la vicenda del 25 maggio, mi verrebbe da dire: mai vendere prima la pelle dell’orso.

Per l’Italia si aprono adesso almeno sei mesi di tregua. Forse, a fine anno, è possibile che il presidente Napolitano rassegni le dimissioni con conseguenti elezioni per il rinnovo della massima carica dello Stato. Proprio l’altro giorno ho incontrato, casualmente, ad una sagra, Romano Prodi che mi ha anticipato la sua intenzione di non scendere nuovamente in campo per il Quirinale. Ma anche in questo caso mi sento di dire: mai vendere prima la pelle dell’orso.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net