La guerra delle Regioni

AI MIEI TEMPI, quando la sinistra era la sinistra e la destra era la destra, si cercava sempre di sapere a priori se una Finanziaria avesse una matrice “gauchiste” o un’impronta marcatamente conservatrice. Adesso non capita più perché tutti gli equilibri sono saltati. Prendiamo, appunto, il caso della legge di stabilità all’esame del Parlamento. La […]

AI MIEI TEMPI, quando la sinistra era la sinistra e la destra era la destra, si cercava sempre di sapere a priori se una Finanziaria avesse una matrice “gauchiste” o un’impronta marcatamente conservatrice. Adesso non capita più perché tutti gli equilibri sono saltati. Prendiamo, appunto, il caso della legge di stabilità all’esame del Parlamento. La vecchia contrapposizione tra maggioranza e minoranza non c’è proprio più: ha lasciato il posto al dualismo tra Roma e periferia per il semplice motivo che tra molte Regioni d’Italia si sta saldando un asse contro quel potere centrale pronto a spremere le realtà locali senza restituzioni o quasi. Una volta, a cavalcare contro i mulini a vento dello Stato, c’era solo il leghista Maroni, con la Lombardia a traino, che ha rivendicato per anni una maggiore autonomia di spesa, ma adesso anche altri governatori si stanno adeguando alla battaglia del Carroccio.

Non è un caso che Chiamparino, vecchia volpe del Partito Democratico, si sia dimesso da presidente della Conferenza delle Regioni (ma il suo abbandono resta congelato fino al varo della legge di stabilità) nel momento in cui il braccio di ferro che lo divide da Renzi è all’apice.

IL GOVERNO ha, infatti, imposto alle amministrazioni regionali l’obbligo di non aumentare le addizionali Irpef ed Irap. La conseguenza di questo disco rosso è sotto gli occhi di tutti: a fronte di minori trasferimenti statali, le amministrazioni regionali saranno costrette a ridurre i servizi ai cittadini o ad aumentare i ticket sulle prestazioni sanitarie.

DIETRO alla bandiera bianca dell’ex sindaco di Torino ci sono, è vero, anche altri motivi. Il Piemonte ha, infatti, sei miliardi di deficit e il suo bilancio è, addirittura, a rischio. Con quale faccia Chiamparino avrebbe potuto quindi indicare la retta via alle altre Regioni sul fronte dei sacrifici? Ma, al di là delle ragioni contingenti, è sempre più evidente che le vecchie contrapposizioni tra moderati e progressisti non esistono davvero più: di questo passo, i peggiori nemici del sindaco d’Italia non sembrano più Berlusconi o Salvini, ma quelli del cerchio magico regionale. Parlo dei Chiamparino, ma anche di Emiliano, ras della Puglia, e di De Luca, boss della Campania. Sono queste le punte di diamante del Pd che cercano di fare la voce grossa contro lo strapotere di Roma.

HO L’IMPRESSIONE che, con tutti questi nemici anche all’interno del suo partito, il giovin Matteo diventerà presto molto canuto. Mi sto pure convincendo che avesse avuto torto Andreotti, il divin Giulio, quando sosteneva che il potere logora chi non ce l’ha. In effetti, mi sembra, infatti, che stia accadendo proprio il contrario. Ne ho avuto conferma l’altro giorno: ho incontrato in una cena romana, l’ex presidente della Camera, Gianfranco Fini, oggi disoccupato di lusso. L’ho trovato molto ringiovanito e pure sorridente. L’esatto contrario di quando sedeva sul più alto scranno di Montecitorio.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net