Oggi, in sette Regioni italiane – più in tanti Comuni (Lombardia compresa) – vanno in onda le elezioni del paradosso. È, infatti, un paradosso che, all’ultimo momento, venga stilata dall’Antimafia una lista di 16 impresentabili su qualcosa come quattromila candidati complessivi. Non ha, infatti, molto senso additare al pubblico ludibrio solo pochi nomi quando sappiamo benissimo che, tra gli altri 3984 aspiranti in lizza o giù di lì, ce ne sono molti che sono ugualmente impresentabili. Sembra pure un paradosso o quasi il fatto che elezioni regionali, sulla carta così poco importanti, assumano invece una rilevanza nazionale. La ragione è che diventano la cartina di tornasole per comprendere in modo tangibile, dopo tante parole, quale sia l’effettiva forza attuale dell’esecutivo in carica. In tal senso, la consultazione di oggi assume lo stesso significato che ha il voto americano di “mid-term”. E tutti i politologi stanno ora facendo una mano di conti. Domani, a scrutini ultimati, si vedrà se il sindaco d’Italia abbia superato o meno gli esami di maturità.

Avrà vinto, senza ombra di dubbio, nel caso di un successo per 6 a 1, attribuendo al centrodestra solo la riconferma, assai probabile, di Zaia nel Veneto. Diverso sarebbe, invece, il discorso nel caso di un risultato per 5 a 2 a favore di Renzi. Se in Campania dovesse perdere De Luca, candidato del Partito Democratico, sarebbe un danno relativo per il premier. Anzi, tenendo conto dei problemi di impresentabilità del politico salernitano, tutto si risolverebbe, paradossalmente, in un aiuto indiretto al segretario del partito di maggioranza. Lo scenario cambierebbe se tale risultato dovesse, invece, essere determinato da una vittoria del centrodestra in Liguria, in aggiunta a quella del Veneto, con un exploit a sorpresa di Toti, il consigliere di Berlusconi. Allora il segnale non sarebbe affatto tranquillizzante per il presidente del Consiglio e la possibilità di un D’Alema-bis, con il ricorso a nuove elezioni politiche nel giro di poco tempo, diventerebbe molto concreta. Ecco perché le Regionali di oggi assumono un peso specifico, a prescindere.

Per il resto, queste elezioni non hanno davvero lo stesso significato di qualche anno fa. In effetti, con il tramonto della grande utopia federalistica, sia politica che amministrativa, il potere centrale ha ripreso vigore a scapito proprio di tutti gli enti decentrati, amministrazioni regionali in primis. Senza contare la discesa in caduta libera del federalismo fiscale che non pare più un miraggio, come ci avevano raccontato per tanto tempo, ma un enorme buco nero in cui abbiamo rischiato di cadere. Siamo arrivati all’assurdo che il presidente campano uscente, Stefano Caldoro, quello che viene sfidato proprio da De Luca, per un mandato-bis sotto il Vesuvio, abbia lanciato l’idea di un referendum per abolire le Regioni, Campania compresa. Ecco, appunto il terzo paradosso di questa strana domenica dell’era renziana. Senza considerare che il voto di oggi dovrebbe ufficialmente vedere per l’ultima volta un certo Berlusconi alla guida di Forza Italia, un partito che, nelle sue intenzioni, sarà destinato a diventare il “rassemblement” dei moderati. Per la prossima tornata elettorale siamo sicuri di una sola cosa: in futuro ci sarà, alla sua guida, una “emme”. Una “emme” come Matteo (Salvini) o come Mara (Carfagna) o come Mariastella (Gelmini). O, nonostante tutte le smentite di questi giorni, una “emme” come Marina (Berlusconi) o come il Milan (Barbara Berlusconi). Ma la vera domanda è un’altra: così come i rossoneri, la squadra del Cavaliere tornerà a vincere?