È diventato un bollettino di guerra: quando costruiamo le pagine del giornale, resto sempre più smarrito davanti alle foto di rito delle vittime, colpite senza veri perché, mentre parenti o vicini di casa dei poveretti raccontano, con una certa monotonia, che i carnefici, fino ad un attimo prima del delitto, erano persone del tutto normali. Padri di famiglia che uccidono mogli e figli; mamme che si ammazzano portandosi dietro bambini innocenti; mariti, fidanzati, compagni che cancellano l’esistenza di donne che hanno avuto, soprattutto, la sfortuna di incontrarli.

Ogni volta che pubblichiamo queste tragiche storie per dovere di cronaca, rischiamo, però, di armare altre fragili menti che sono facili prede della miccia dell’emulazione. Pensieri nascosti che, magari da tempo, già galleggiavano nel cuore e nell’anima, possono, infatti, esplodere all’improvviso e diventare possibili, reali, inevitabili. Ogni giorno ti chiedi: faccio bene a pubblicare quella foto, quella storia? Quando il diritto di cronaca rischia di diventare un suicidio collettivo.