La croce dello Ior

È DIFFICILE portare la croce dello Ior, la banca vaticana. Paradossalmente, chi tocca i fili del “sancta sanctorum” della finanza del Papa, resta, in qualche modo, folgorato. Negli ultimi trent’anni, da Paul Casimir Marcinkus a Donato De Bonis, fino agli sviluppi dei giorni nostri, la storia si ripete: ora la croce è toccata ad Angelo […]

È DIFFICILE portare la croce dello Ior, la banca vaticana. Paradossalmente, chi tocca i fili del “sancta sanctorum” della finanza del Papa, resta, in qualche modo, folgorato. Negli ultimi trent’anni, da Paul Casimir Marcinkus a Donato De Bonis, fino agli sviluppi dei giorni nostri, la storia si ripete: ora la croce è toccata ad Angelo Caloia, il banchiere lombardo che è accusato, assieme ad altri due personaggi, di peculato per avere svenduto 29 stabili di proprietà dell’Istituto.

Le vicende si ripetono, i personaggi coinvolti escono di scena, ma lo Ior non cambia, almeno così pare. Ricordo ancora cosa mi disse l’arcivescovo americano di origini lituane che riuscii a scovare nel suo esilio quasi dorato di Sun City, un sobborgo alla periferia di Phoenix, in Arizona, dopo essere stato allontanato da Giovanni Paolo II dal timone della banca a Roma. Il prelato, che era stato anche l’organizzatore dei viaggi all’estero di Paolo VI, mi disse, senza tanti peli sulla lingua, che non era uscito di scena subito dopo il crac dell’Ambrosiano di Calvi, il banchiere di Dio, per una ragione molto semplice: con lo Ior aveva finanziato Solidarnosc, il movimento di Walesa che voleva liberare la Polonia dal giogo comunista e il Papa di Cracovia, almeno per un po’, gliene era stato grato: chiesi a Marcinkus anche un parere sul suo successore in Vaticano, Caloia appunto, ma preferì non rispondere. Poi, riaccompagnandomi in auto, cominciò a cantare «Arrivederci Roma!».

Cosa voleva dirmi? A tanti anni di distanza, non lo so ancora, ma, forse, il suo, voleva essere una specie di messaggio. Una cosa, però, mi è chiara: è paradossale che, all’ombra del cupolone di San Pietro, continuino a convivere, ancora adesso, prelati con l’olio santo e affaristi, o presunti tali, con l’olio di gomito.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net