CI SONO PERSONE baciate dalla fortuna che nascono, chissà perché, enfant gâté. Uno di questi è Franco Bernabè, attuale presidente di Telecom Italia che sta per diventare Telecom Spagna. L’ho conosciuto tanti anni fa quando era assistente di Franco Reviglio, l’economista piemontese che era allora presidente dell’Eni. Il giovane Bernabè aveva ancora i pantaloni corti e già sembrava una specie di illuminato da Dio.

IL RAGAZZO di Vipiteno è diventato un signore di mezz’età, ma la grande promessa è rimasta tale, anzi. Con il trascorrere del tempo, il golden boy, dovunque è andato, dal cane a sei zampe a Telecom, si è quasi trasformato in un ferrovecchio arrugginito, ma lui ha continuato a godere di ottima stampa, riuscendo, così, a strappare super-emolumenti (cifre iperboliche anche dopo l’autoriduzione di stipendio che preferisco non pubblicare per carità di patria). Tranne poi scoprire che l’ex giovane talentuoso è una bella addormentata: gli azionisti di Telecom gli cambiano gli assetti della società e lui, il presidente, neppure se ne accorge.

E, QUEL CHE è peggio, va in Senato e, davanti alla commissione che gli chiede spiegazioni sulla cessione del gruppo telefonico, ammette candidamente di avere appreso la notizia della vendita dai comunicati-stampa. Complimenti: da quando in qua il numero uno di un colosso quotato in Borsa non viene informato in anticipo di una quisquilia come il passaggio di proprietà a un colosso straniero? Lui cosa ci sta a fare? Scalda soltanto la sua sedia d’oro? Intendiamoci, anche il governo ha le sue responsabilità: trattandosi di una società strategica che riguarda le telecomunicazioni italiane, Letta non può liquidare il passaggio come un semplice fatto tra privati. Ma mi chiedo: quando uscirà il presidente Telecom dal letargo?

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