Incontrando, l’altro giorno, l’ex segretario del Pd, Walter Veltroni, ho avuto la stessa spiacevole sensazione di impotenza, per la situazione economica del Paese, che provai nel 2011 scambiando qualche battuta, nel Transatlantico, con l’allora premier Silvio Berlusconi, costretto a confessare l’incapacità del suo governo di arrestare la vertiginosa corsa dello spread. Oggi come allora, dietro ad un’apparente c alma, tutto rischia di precipitare in modo irreale, ma ugualmente fragoroso. Mi sembra di vivere in una Italia a due velocità e, in questo caso, Nord e Sud non c’entrano nulla: da una parte c’è l’attivismo, o presunto tale, di Renzi, che sforna riforme su riforme, cercando, in tal modo, di rimediare ad anni di colpevole immobilismo, dall’altra c’è una congiuntura che non migliora, anzi, cifre alla mano, peggiora sempre più. In questi giorni, poi, le nostre grandi aziende rischiano di diventare, per pochi spiccioli, terra di conquista di colossi stranieri. Se la cessione dell’Alitalia agli sceicchi di Etihad è, infatti, alla stretta finale con tanti sacrifici e pochi benefici, è arrivata,  fulmine a ciel sereno, la vendita del gruppo Ariston dei fratelli Merloni agli americani di Whirpool.

In altre situazioni, avremmo accolto con piacere lo sbarco di capitali esteri, ma oggi sembra quasi una capitolazione del made in Italy. Prendiamo l’Ariston: non diventa a stelle e a strisce solo un simbolo storico degli elettrodomestici del Belpaese, ma finisce anche la saga di una grande famiglia imprenditoriale che, dalle Marche, aveva inventato la “via adriatica” allo sviluppo, dando a vita a poli industriali molto interessanti. La storia di Vittorio Merloni, che è stato anche presidente della Confindustria, ricorda molto da vicino quella di un altro pioniere, il varesotto Giovanni Borghi, che, pochi mesi fa, con la sua Ignis, è stato al centro di un fortunato sceneggiato televisivo. Entrambi, infatti, hanno governato due imperi del freddo, facendo sognare gli italiani del miracolo economico, ma sono, poi, stati costretti ad abdicare agli stranieri.

Diverso il discorso dell’Alitalia. Il governo e i responsabili dell’ormai ex compagnia di bandiera, negli ultimi giorni, hanno trionfalmente dichiarato di avere ridotto la quota degli esuberi imposta da Etihad fissata, in un primo tempo, in 2250 lavoratori. In realtà, a meno di ulteriori ripensamenti, 980 finiscono in cassa integrazione, mentre altri 1021 saranno ricollocati in imprese collegate ad Alitalia, nel settore pubblico, solo se ci saranno posti di lavoro disponibili: quasi un miraggio, di questi tempi . Per 250 assistenti di volo ci sarà, infine, il limbo dei contratti di solidarietà. Sembra proprio che, in tutta l’ operazione, a guadagnarci siano solo gli sceicchi. Tutti i nodi stanno venendo al pettine: speriamo di cavarcela, anche questa volta, magari con l’aiuto dello stellone italico.