IL TEMA è ricorrente e, soprattutto d’estate, va per la maggiore: intercettazioni e giornali. Da quando faccio il giornalista, cioè da tempi immemorabili, si continua a sostenere la necessità di mettere la museruola agli organi di stampa che fanno un uso eccessivo e disinvolto di conversazioni private, carpite e subito pubblicate. Adesso anche Renzi vuole fare chiarezza sull’argomento e ha chiesto al presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino, di sondare sull’argomento alcuni direttori televisivi e della carta stampata. L’altro giorno, ho, così, partecipato all’incontro romano: tutti i presenti hanno, ovviamente, detto no a norme più restrittive, anche se è stato convenuto che gli addetti dell’informazione, per quanto possibile, dovrebbero diffidare di testi trasmessi con qualche slalom di troppo perché, dietro all’anticipazione, si nasconde, spesso, una strumentalizzazione della notizia. Credo che il vero problema sia, comunque, il rispetto della “privacy” per quelle persone che non sono direttamente coinvolte in inchieste giudiziarie, ma che sono, ugualmente, tirate in ballo e date in pasto al pubblico affamato di indiscrezioni. Proprio per evitare tali incidenti di percorso, ho riproposto la vecchia idea lanciata, anni fa, ma in un altro contesto, da un collega: creare uno snello comitato etico (non retribuito) formato da due giornalisti e da due avvocati, sotto la presidenza di un magistrato, in grado di dare, a stretto giro di posta, pareri preventivi sulla pubblicazione o meno di una intercettazione. Un’idea di buon senso che, in quanto tale, verrà subito accantonata: accetto scommesse. giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net
© Riproduzione riservata