Ho ricevuto, ieri, un’interessante lettera del presidente della Camera Penale di Monza, Marco Negrini, che si sofferma sugli ultimi episodi di cronaca nera e, in particolare, anche se non lo esplicita, sul caso del presunto assassino di Yara. Nella missiva si parla di un “processo di piazza” e di “esistenze vivisezionate e offerte in pasto alla morbosa curiosità”. Come addetto ai lavori, debbo confessare che anch’io sono stato, in questi giorni, molto combattuto tra le esigenze di cronaca, soprattutto per una vicenda clamorosa che ha catturato l’attenzione di milioni di italiani, e i problemi di “privacy” per quei familiari che non sono direttamente coinvolti nel giallo. È il caso della mamma di Bossetti che ieri ha dovuto rilasciare un’intervista ad un giornale per dichiarare che, 44 anni fa, non ebbe alcuna relazione extraconiugale con Giuseppe Guerinoni, l’autista di pullman di Gorno, tirato in ballo nonostante sia morto da ben quindici anni e quindi del tutto estraneo al delitto.

È giusto rivangare, così platealmente, antichi episodi legati alla sfera intima di alcune persone? È vero che scoprire la paternità di Bossetti è, forse, determinante nella risoluzione dell’omicidio di Yara, ma non sarebbe male qualche “mea culpa” non solo da parte dei “mass media”. Tanto più che è stata approvata, di recente, una legge sulla “privacy” che, per il momento, è praticamente rimasta sulla carta. Forse, un po’ di discrezione e di rispetto in più non sarebbero male. In questa storia – basta ricordare la precipitosa uscita del ministro dell’Interno, Alfano -, c’è una voglia smodata di svelare trame o fornire informazioni bruciando i tempi, dimenticando ogni pietà. Credo che una riflessione sia d’obbligo. Per tutti.

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