Il ritorno dello Zar

L’ALTRO GIORNO, assieme all’amico Putin, Silvio Berlusconi, che rientrerà oggi a Milano in tempo per il derby, ha compiuto un gesto significativo: è stato il primo uomo politico occidentale, un anno dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia, a visitare la penisola. A Yalta ha deposto una corona di fiori sulla stele che ricorda […]

L’ALTRO GIORNO, assieme all’amico Putin, Silvio Berlusconi, che rientrerà oggi a Milano in tempo per il derby, ha compiuto un gesto significativo: è stato il primo uomo politico occidentale, un anno dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia, a visitare la penisola. A Yalta ha deposto una corona di fiori sulla stele che ricorda i caduti della spedizione del 1854 a cui partecipò anche il Regno di Sardegna con il contingente guidato da Lamarmora. Una mossa quasi cavouriana che conferma un crescente disgelo nei confronti di Mosca. In effetti, più volte nel corso del suo ormai lungo regno, il nuovo zar è stato messo nell’angolo ma, puntualmente, ha saputo uscirne più forte di prima. È stato così all’epoca della guerra alla Cecenia, dell’incidente del sommergibile Krsk, della strage del teatro di Dubovka e di quella di Beslan. Ma anche tra il 2011 e il 2012, quando nella capitale russa e nelle altre grandi città ci furono manifestazioni di grande contestazione al Cremlino.

È SUCCESSO pure l’anno scorso nella vicenda Ucraina-Crimea che semmai ha lasciato strascichi nei portafogli dei nostri operatori turistici costretti, quest’estate, a fare a meno, spesso e non volentieri, dei tanti desiderati rubli. Adesso, però, Putin sta tornando vincitore perché si offre di svolgere quello che normalmente viene chiamato il “lavoro sporco” in Siria contro l’Isis: insomma, il leader è pronto a sobbarcarsi quella responsabilità che un Occidente debole e decadente non è in grado di assumere. È vero, da almeno un decennio, l’Ovest ha continuato a prendere le distanze da Putin descritto come un dittatore che non rispetta i principi della democrazia con un modo di governare piuttosto discutibile. Ma questa è la Russia, una nazione passata dall’autoritarismo zarista a quello bolscevico con milioni di vittime in nome del comunismo.

EPPURE il Cremlino ha compiuto passi da gigante dai tempi di Eltsin. Nell’era di Boris, il giovane cofondatore di Google, Sergei Mikhailovic Brin, nato a Mosca ed emigrato da bambino negli Stati Uniti, aveva definito il suo Paese d’origine come “la Nigeria senza neve”, una nazione, cioè, in preda al caos. Nell’era Putin, checché se ne dica, la Russia è uscita dalla miseria e da un indiscutibile degrado che produceva il tenore di vita più basso tra i Paesi europei. È stato creato un ceto medio, una vera borghesia, con condizioni migliori per larghi strati della popolazione. Se è vero, come sarebbe facile dimostrare, che, in questi anni, c’è stata, da quelle parti, una limitazione delle libertà politiche, ciò ai russi sembra, oggi, interessare poco. Un semplice dato: gli indici demoscopici indipendenti dicono che il nuovo zar gode, tra i suoi connazionali, di un gradimento dell’85%. Insomma, Obama passa e Putin resta. Ha ragione Berlusconi: meglio tenersi amico l’uomo forte del Cremlino. giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net