Conservo gelosamente una foto dell’aula di Montecitorio vuota. Tra quei banchi, in perfetta solitudine, lassù, in alto, nell’emiciclo a destra, ci sono io, un omino piccolo piccolo che alza la mano nel disperato tentativo di parlare. Quell’immagine dà l’idea dell’isolamento che il deputato avverte spesso tra i banchi della Camera. Molti mi dicono che sono stato bravo e fortunato a mollare tutto e a rituffarmi nel vecchio mestiere di giornalista.

E’ vero, sono felice di essere tornato per conto mio, ma credo che oggi i parlamentari moderati, pur nel caos generale,  si trovino, paradossalmente, per certi versi, in condizioni migliori di allora, perché, almeno, hanno la possibilità di tentare di forgiare il proprio destino, imponendo qualche scelta di buon senso, mentre, prima, il dissenso interno, sia a destra che a sinistra, era parola tabù, o quasi.

Fino a qualche mese fa, nel Pdl non c’erano “falchi” e “colombe” per la semplice ragione che gli onorevoli non potevano discostarsi più di tanto dalla linea del partito: o tutti “falchi”, o tutte “colombe”. Insomma, o ti allineavi al 99 per cento alle direttive del partito, o rischiavi di essere messo fuori, come è successo a Fini; oppure, se andava bene, finivi in naftalina. In questi giorni, almeno fino alla retromarcia del Cavaliere, coloro che si sono opposti alla linea dura, culminata con la richiesta di dimissioni dei ministri, sono stati considerati, ma solo a parole, “traditori”: in altri tempi, sarebbero stati espulsi automaticamente dal partito.

Intendiamoci, le correnti ci sono sempre state anche nel Pdl, ma le fronde interne erano di profilo più basso: spesso e volentieri, si trattava solo di questioni di potere personale come, ad esempio, capitò con i contrasti sotterranei tra Verdini e Alfano. L’errore di Berlusconi e dei “falchi” è stato sottovalutare la rivolta dei dissidenti. Santanché & C. hanno pensato che sarebbe stato sufficiente il “diktat” di Arcore per mettere tutti in riga. Così non è stato: se il segretario Pdl era sembrato chinare la testa davanti ai colleghi dal pugno di ferro, appena 24 ore dopo, visti i chiari di luna, è diventato “diversamente berlusconiano”. E domani? La strada praticabile è una sola: Silvio si faccia da parte e lasci lo scettro alla figlia Marina. Altrimenti, il Cavaliere, oltre al laticlavio, rischia di perdere del tutto la “leadership” della rediviva(?)Forza Italia.