HO LETTO che Badia Prataglia, un paesino di 900 anime in provincia di Arezzo sull’Appennino tosco-romagnolo, è da tempo in fermento per l’annunciato arrivo di 25 immigrati, forse richiedenti asilo. Mi sono molto meravigliato, perché oltre ad essere un feudo storico del Pd (dall’Aretino proviene pure la Boschi), il piccolo centro è stato sempre rinomato per la sua proverbiale ospitalità. Oltre  che dai normali turisti, Badia Prataglia era invasa d’estate dai boy-scout che s’accampavano ai margini della bellissima foresta: tra quei giovani esploratori adepti di Baden-Powell, anni e anni fa, c’era pure il sottoscritto che ha ancora un bellissimo ricordo di quel paese ad un tiro di schioppo dalle abbazie di Camaldoli e della Verna. Le messe all’aperto, le lunghe passeggiate, i fuochi, i giochi notturni. L’unico punto dolente, in effetti, erano le ispezioni mattutine alle tende: il capo-squadriglia veniva a controllare, di tanto in tanto, se tutto era in ordine. Io mi ero trovato un rifugio segreto: un albero cavo, vicino alla tenda, dove nascondevo la biancheria sporca. Dove sarà finita la disponibilità di quei paesi abbarbicati sull’Appennino? Se a Badia Prataglia c’erano gli alloggi per i boy-scout, non ci può essere, oggi, un po’ di spazio anche per i migranti in attesa di collocazioni migliori? Se anche luoghi così tranquilli, lontani dalle contraddizioni e dai clamori delle grandi città, non sono capaci di qualche piccolo gesto di umanità che speranza ci può mai essere? [email protected]