LA SCALATA al nuovo governo di Pier Luigi Bersani appare più difficile della conquista del K2, che abbiamo rivisto, in tv, proprio nei giorni scorsi. Eppure, il segretario del Pd, in queste ore frenetiche di consultazioni, non ha affatto issato bandiera bianca, anzi.  Spera ancora di arrivare in cima alla montagna di una maggioranza al Senato. Se senti, infatti, qualcuno del suo “éntourage”, oggi puoi avvertire un po’ più di ottimismo sulle possibilità di successo, rispetto al clima di venerdì, subito dopo l’affidamento dell’incarico esplorativo da parte di Napolitano. Pur non ammettendolo neppure sotto tortura, il leader piacentino (che, tempo fa, mi disse: «beato te, che fai il giornalista») ha preso atto di aver compiuto il passo più lungo della gamba quando, a priori, ha sbattuto la porta in faccia al Pdl.  Persino il Quirinale l’ha ammonito, sia pure in modo indiretto.
Adesso non può più tornare indietro, ma, con questi numeri, il tentativo di formare un nuovo governo appare molto difficile, a meno che… A meno che qualcuno, indipendentemente dagli ordini di scuderia del partito di appartenza, accetti il programma e gli obiettivi indicati dal presidente incaricato, dando la propria adesione e, soprattutto, il proprio voto, per il bene del Paese. Solo in tal modo, si potranno, forse, evitare le elezioni anticipate, anche perché un eventuale mandato esplorativo affidato, se tutto dovesse andare male, alla seconda carica dello Stato, sembra molto più problematico, dopo le polemiche scoppiate attorno alla figura e alle incaute parole del presidente del Senato, Piero Grasso.

CI SAREBBE UNA GRANDE DIFFERENZA tra gli Scilipoti di turno che, nel 2010, passarono dall’altra parte della barricata per puntellare il governo di centrodestra, e quei parlamentari che decidessero, oggi, di dare man forte al premier incaricato. In questo caso, infatti, non si tratterebbe di un vero tradimento, ma di un atto consapevole, forse coraggioso, per dotare l’Italia di un esecutivo di scopo, rigorosamente a tempo, in grado di varare quelle misure indispensabili per non affondare tutti definitivamente. Una specie di “beau geste” di qualche senatore di buona volontà, con la benedizione segreta, magari, dei rispettivi leader. Penso più al Cavaliere, nonostante la manifestazione romana di ieri, a Maroni e a Monti, piuttosto che a Grillo, a dispetto dei tentativi in tal senso dei luogotenenti di Bersani. Insomma, come diceva Machiavelli, il fine giustifica i mezzi e, in questo caso, la salvezza dell’Italia non è un risultato trascurabile se si potesse realizzare, oltre che con ipotetici cambi di casacca, anche attraverso la costituzione di gruppetti parlamentari paralleli, apparentemente autonomi, ma, in qualche modo, alleati. Certo, la possibile fumata bianca dipenderà anche dall’adesione al programma delle categorie interessate, dei sindacati e delle più importanti associazioni economiche. A cominciare, ovviamente, dal numero uno della Confindustria, Giorgio Squinzi, che incontrerà, oggi, il presidente del Consiglio “in fieri”: in ogni caso, i problemi dell’economia reale non consentono di sottilizzare troppo. Questa è, dunque, la classica domenica (delle Palme) di lavoro: ci sarà stasera il ramoscello d’ulivo?
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