Piero Barucci è stato presidente dell’Abi e poi ministro del Tesoro ai tempi di Amato e Ciampi, gli anni delle svalutazioni competitive della lira e dell’inflazione galoppante. L’ho incontrato, per caso, a Roma, e non ho perso l’occasione per chiedergli: si stava meglio quando si stava peggio con l’inflazione a due cifre? La risposta è stata lapidaria, ma molto precisa: il grande burattinaio di Mediobanca, Enrico Cuccia, uno che di finanza se ne intendeva, diceva sempre che l’inflazione è brutta, ma la deflazione ancora di più. L’omino di via Filodrammatici aveva ragione e ce ne stiamo rendendo conto, ogni giorno di più, in tutto il Vecchio Continente, con i consumi stagnanti e il mondo produttivo in ginocchio. Così non si va avanti e, dopo avere temporeggiato un po’, l’ha compreso anche Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, che ha deciso di rompere gli indugi: per cercare di ridare fiato alla congiuntura economica, Eurotower dovrebbe, nel prossimo gennaio, decidere l’acquisto in scala massiccia (circa 500 miliardi di euro) di titoli di Stato dei partner.

L’ex governatore di Bankitalia cerca di tirare fuori gli attributi: se proprio gli dovesse andare male in Europa, ci potrebbe essere pronto, per lui, un posto caldo al Quirinale. Ma torniamo alla recessione che non concede tregua. È vero che il calo della bolletta energetica per i Paesi che sono grandi importatori di petrolio, come l’Italia, dovrebbe favorire, a breve, un po’ di ripresa, ma il raffreddamento del barile non è, comunque, sufficiente a invertire decisamente la rotta ed evitare, in tal modo, lo spettro della crescita sotto zero. Ecco, quindi, la robusta iniezione di liquidità che Draghi è pronto ad alimentare con gli acquisti a raffica sui mercati europei. In tal modo, la Bce potrebbe replicare a muso duro a tutti coloro che, in questi mesi, l’hanno criticata a causa delle armi spuntate contro la Grande Depressione.

Il problema è che non tutti i partner di Francoforte sono d’accordo sulle scelte del presidente italiano: à la guerre comme à la guerre. Il primo a contestare la svolta è stato, tanto per cambiare, il numero uno della Bundesbank tedesca, Jens Weidmann, che ha trascinato i “fedelissimi”, i governatori del Lussemburgo, dell’Estonia, della Lettonia e non solo, a schierarsi contro la posizione di Draghi. Un bel gruppetto che, però, non sarebbe in grado di rovesciare la maggioranza a fianco del presidente, convinta che voltare pagina dovrebbe interessare positivamente tutto il club dell’euro. Ma Frau Merkel e i suoi compatrioti continuano a diffidare dei cittadini del Belpaese, ergo di Draghi che pure è «super partes». L’accusa è evidente: il presidente della banca centrale cerca di fare pagare ai tedeschi una politica tesa, soprattutto, a salvare l’Italia dal «default», che per di più, proprio nei giorni scorsi, ha subito un altro declassamento dalla solita Standard & Poor’s. Vallo a spiegare a Berlino e dintorni che, soprattutto quando c’è di mezzo la moneta unica, non è, poi, vero il detto «mors tua, vita mea». 
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