In questi giorni ho vissuto con un po’ di magone le vicissitudini del Pdl o meglio di quello che ne resta: avevo già provato sulla mia pelle, durante la breve esperienza parlamentare, la difficoltà di partecipare a decisioni che sembravano, sempre, calate dall’alto, l’impossibilità di seguire percorsi lineari, costretti, noi peones, a continue giravolte senza mai poter dire la nostra o scorgere un disegno dietro gli ordini di scuderia.

L’esplosione del Pdl nasce da lontano: già da alcuni anni montavano all’interno del corpaccione del partito forti malumori e non è servito, per spegnere l’incendio, poco alla volta, eliminare tante voci dissonanti, per lasciare spazio solo ai fedelissimi e alle fedelissime, incapaci di una visione che andasse oltre i loro personali interessi. Ieri, seguendo il dibattito al Senato, i contorcimenti, le pugnalate, le offese, guardando i visi di molti ex colleghi, per alcuni dei quali nutro sentimenti di simpatia ed amicizia, ho pensato che lo strappo, per fortuna, io l’avevo già fatto in solitudine l’anno scorso, perché non era possibile, per me, rimanere in un mondo a rovescio, senza la possibilità di lavorare con un po’ di lucidità.

Mi guardo intorno, oggi in redazione, tra mucchi di giornali, problemi che appaiono enormi, immersi in una crisi che sembra non finire mai, sereno per essere tornato al mio posto, ma con un briciolo di fiducia in più verso vecchi colleghi che, mi auguro, sappiano percorrere la strada che hanno appena intrapreso con una nuova forza e coraggio per cambiare il nostro domani.

[email protected]