E Angelino non rispose

DOPO TRE giorni d’attesa, il vicepremier e ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha finalmente risposto alle nostre sollecitazioni sull’emergenza sicurezza a Milano. Mi ha fatto sapere, via sms che, nel pomeriggio, avrebbe richiamato: attendo ancora quella telefonata. In attesa che Angelino mantenga i suoi impegni, mi chiedo se possiamo sperare in un futuro meno da Far […]

 DOPO TRE giorni d’attesa, il vicepremier e ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha finalmente risposto alle nostre sollecitazioni sull’emergenza sicurezza a Milano. Mi ha fatto sapere, via sms che, nel pomeriggio, avrebbe richiamato: attendo ancora quella telefonata. In attesa che Angelino mantenga i suoi impegni, mi chiedo se possiamo sperare in un futuro meno da Far West sotto la Madonnina. Nessuna nota positiva, dunque, nel grigiore plumbeo di questa settimana, con il suggello di ieri, il giorno in cui Milano si è fermata per onorare la memoria delle tre vittime delle picconate di Kabobo, in quella sconvolgente alba di sangue che sarà difficile dimenticare. Anche noi del “Giorno” ricordiamo, in un unico abbraccio, i caduti dell’altro sabato, con un saluto particolarmente affettuoso alla famiglia di Daniele, il ragazzo dei giornali, che, subito, ha occupato un posto speciale nei nostri cuori. Tragedie così non debbono mai più accadere e mi auguro che alle parole seguano davvero i fatti: i milanesi non possono rischiare di essere aggrediti per le vie della periferia (e non solo) e non vogliono abituarsi a convivere con la paura di incappare in qualche folle mina vagante.

LA SENSAZIONE di smarrimento che ci invade, in queste incredibili ore, è anche il segno di un degrado generale acuito dalla crisi economica, dalla preoccupazione per il futuro, dall’instabilità in cui galleggiamo, tutti, senza riuscire a trovare un equilibrio che regali un po’ di serenità. Anch’io, tornato a vivere qui dopo vent’anni di assenza, avverto la profonda sensazione di un malessere, prima sconosciuto: se negli anni della Milano da bere e anche dopo, il Picconatore era, solo a parole, il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, oggi, per tutti, il picconatore è diventato il famigerato africano, quasi un nuovo simbolo della città. Al di là del solito dilemma – esercito sì, esercito no – e della necessità di utilizzare al meglio le forze dell’ordine, è importante raffreddare lo stato d’allarme, tra esasperazione e caccia all’untore, che è scattato da queste parti. Le minacce di morte e le contestazioni di ieri al sindaco Pisapia da una parte, così come, dall’altra, le reazioni spropositate alle avventate e superflue parole del legale di Berlusconi, Piero Longo, pronto a farci sapere che, se si fosse imbattuto nel ghanese, avrebbe sparato per primo, dimostrano come su Milano si stiano addensando pesanti nuvoloni che portano solo tempesta. Per evitare una escalation della “controviolenza”, di pari passo con l’aumento della violenza, occorre davvero fare presto. Come dimostra il sondaggio condotto tra i lettori del “Giorno” (quasi il 90 per cento degli interpellati ha chiesto l’intervento dei soldati per svolgere anche normali compiti di pattugliamento lungo le strade del capoluogo), c’è un grande bisogno di vedere subito qualche atto concreto per riacquistare un po’ di fiducia nelle istituzioni. Basta con le parole.

giancarlo.mazzuca@ilgiorno.net