«TUTTE LE VOLTE che vedo passare un’Alfa Romeo, mi levo il cappello!»: così diceva Henry Ford, con rispetto e ammirazione per l’auto italiana. Quella frase del grande costruttore mi è venuta in mente leggendo le “performances” borsistiche della Fiat dopo l’acquisizione dell’intero pacchetto azionario della Chrysler.

LA CASA DEL LINGOTTO sarà anche indebitata, dato che   le vendite delle quattroruote continuano a latitare, ma, intanto, il “made in Italy” ha dato un segno di vitalità e di riscossa. In altri tempi, forse, la notizia di un nostro acquisto all’estero non avrebbe avuto un’eco così vasta, considerando che la casa di Detroit non è più quella dei tempi magici di Iacocca. Ma proprio l’eccezionalità del momento, con un’emergenza economica che mette in ginocchio l’Italia intera, attribuisce un significato tutto particolare all’operazione. Il colpo di Marchionne e della dinastia sabauda dimostra, infatti, che non tutto è perduto e che il “made in Italy” respira ancora, tanto da mettere definitivamente piede nel tempio mondiale dell’auto. Negli ultimi tempi, abbiamo scritto, spesso e non certo volentieri, su tante aziende di casa nostra costrette ad abdicare, colonizzate dalle grandi firme estere. “Griffes” della moda conquistate dai francesi, aziende alimentari “mangiate” da chiunque passasse dietro l’angolo, grandi dinastie imprenditoriali che se ne andavano in pensione. Finalmente, una notizia controcorrente: il simbolo storico dell’industria tricolore va a a prendere un pezzo della capitale automobilistica. La notizia mi fa lo stesso effetto di una conquista di 60 anni fa: proprio nel 1954, infatti, Achille Compagnoni  e Lino Lacedelli salirono in cima al K2, la vetta più alta del mondo dopo l’Everest. A due passi dal cielo.
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